L’indimenticabile
estate di Abilene Tucker
di Giovanni Pistoia
Quando leggo, sono un lettore. Ah, che
pensiero profondo! Lo so, è una banalità. Mi va di pensare, a volte, a quei
tanti altri che hanno già letto, o che leggeranno, il libro che ho tra le mani;
a cosa hanno detto, alle emozioni che proveranno.
Questa volta, divorando il romanzo “L’indimenticabile
estate di Abilene Tucker” di Clare Vanderpool (tradotto dall’inglese da Aurelia
Martelli, Giralangolo 2012), ho pensato di fare un piccolo omaggio ai lettori.
Racconterò subito come finirà, così eviteranno l’angoscia dell’attesa, l’ultima
pagina. Non voglio, in una parola, che stiano in ansia, com’è capitato a me,
che il loro cervello diventi un punto interrogativo.
Queste benedette pagine del libro mi
hanno fatto ricordare quando, da ragazzo, salivo sull’albero delle nespole e ne
mangiavo a sazietà, perché erano saporitissime e temevo che scomparissero da un
momento all’altro. Rischiavo di brutto: no, cari amici lettori, vi dirò subito
chi è questa benedetta Abilene, ragazzina tutto pepe. Ma quale bambina curiosa,
ostinata, vivace! è una vera ficcanaso! Ama sentirsi raccontare storie, ama
inventarsi storie, ama scrivere storie, ama cercare, come un segugio, tra
vecchie carte ingiallite di solitudine. E vi dirò subito del padre; che strano
personaggio! Quasi come premio per i dodici anni della ragazza, la mette su un
treno e la spedisce, come un pacco postale, in una sperduta località. Una
cittadina che vive sulla propria pelle la Grande Depressione del 1936, le
vicende del Proibizionismo, la presenza atroce del Ku Klux Klan. Un centro,
soprattutto, che possiede una sola realtà trasparente: l’ambiguità dei suoi abitanti,
l’ombra che lo pervade in ogni angolo, anche quando non c’è sole. No, no, vi dirò
tutto, perché non mi pare giusto che voi dobbiate aspettare la lettura
dell’intero libro per capirci qualcosa.
La ragazza è sola; si sente,
giustamente, abbandonata da un padre, che sembra l’abbia voluta scaricare
affidandola a un signore del posto; un amico,
che non si capisce chi sia: un giorno è santo, l’altro un diavolo, un
contenitore di mille segreti, clandestino tra clandestini.
Tanti personaggi abitano Manifest, il
nome della località, che di manifestamente solare non ha niente. Vi dirò subito
chi è la misteriosa indovina che pare sappia indovinare solo il passato e del
futuro non vede niente, e poi, ancora, vi dirò di una monaca tuttofare. Voglio
evitare che il povero lettore si tenga stretto il libro tra le mani e non abbia
il tempo di metterlo da parte per poi riprenderne la lettura con calma. Eh no!
non è possibile, perché finito un paragrafo, si ha la necessità di leggerne un
altro e poi un altro ancora. Perché è un romanzo – matrioska. Non sapete cosa
sia un romanzo matrioska? Neanche io veramente, ma leggendo questo libro, un
racconto ne contiene un altro e poi un altro ancora. È come da un cilindro, ma non
escono conigli, escono altri clindri più grandi e poi altri ancora più grandi,
più complicati. Da cilindri piccoli, cilindri grandi? Sì, un romanzo matrioska,
ma al contrario, da un racconto che sembra breve e semplice, ne esce un altro
più lungo e intricato. Insomma, un ginepraio. Un viaggio, tanti viaggi, nella
storia, e nella microstoria, di luoghi e persone.
Pensate: sono stato costretto a leggerlo
quasi di un fiato, perché avevo paura che mi si smarrisse qualche personaggio,
che mi scomparisse un qualche luogo, che mi si dissolvesse una qualche pagina.
Ecco, io voglio evitare ai miei colleghi lettori questa’ansia da avventura. Questa
scorpacciata di pericolose delizie. Pertanto, vi dirò subito la fine di ogni percorso,
e vi svelerò il vero volto dei personaggi. E così potrete gustare le nespole
con calma, senza la paura di cadere dall’albero.
La storia finisce a pagina
trecentosettantotto. E non è vero neanche questo. Perché continua anche dopo,
con una nota dell’autrice e, poi, con i ringraziamenti. E se vi capita di dare
uno sguardo alla quarta di copertina, scoprirete che il libro è vincitore del
Newbery Medal Award 2011 “per l’eccezionale contributo dato alla letteratura
per l’infanzia”. Ma anche su questo, intravedo un alone di mistero. È un libro
di letteratura, e basta. Lo possono leggere tutti. Non è vietato agli adulti,
me ne assumo la responsabilità. E chi non ne abbia la possibilità, per
qualsivoglia ragione, può farselo leggere ad alta voce, perché un racconto
d’avventura è ancora più avventuroso sentirselo avventurosamente evocare da
altri.
Vado alla conclusione. Chi è Abilene
Tucker? Chi è il padre? Perché …
Non volevo farla lunga, in verità, ma ho
già dedicato molto tempo a questo scritto.
E, poi, a essere sinceri, perché dovrei
essere divenuto tutto di un colpo buono? Perché dovrei spianare la strada a voialtri futuri lettori? Arrangiatevi, immergetevi
tra le pagine di questo bell’albero di nespole (o ciliegio, o more, fate voi!)
Una raccomandazione. Ogni tanto alzate
la testa dal libro, altrimenti finirete per convincervi che siete anche voi un
personaggio del romanzo. Ma, forse, anche ciò non è vero: forse ci siamo anche
noi, per davvero, ragazzi e adulti, in quella storia, in quelle storie.
Sento il rollio di un treno, vedo Abilene
che corre, sbarazzina trafilata, lungo i binari ed io, con pantaloni sgualciti,
la barba un po’ grigia, che le vado incontro. Su quelle rotaie troverete le mie
impronte.
Clare Vanderpool
L’indimenticabile
estate di Abilene Tucker
Traduzione dall’inglese di Aurelia
Martelli
Edizione italiana EDT/giralangolo
Torino 2012
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