martedì 12 giugno 2012

L'INDIMENTICABILE ESTATE DI ABILENE TUCKER



 

L’indimenticabile estate di Abilene Tucker
 di Giovanni Pistoia



Quando leggo, sono un lettore. Ah, che pensiero profondo! Lo so, è una banalità. Mi va di pensare, a volte, a quei tanti altri che hanno già letto, o che leggeranno, il libro che ho tra le mani; a cosa hanno detto, alle emozioni che proveranno.

Questa volta, divorando il romanzo “L’indimenticabile estate di Abilene Tucker” di Clare Vanderpool (tradotto dall’inglese da Aurelia Martelli, Giralangolo 2012), ho pensato di fare un piccolo omaggio ai lettori. Racconterò subito come finirà, così eviteranno l’angoscia dell’attesa, l’ultima pagina. Non voglio, in una parola, che stiano in ansia, com’è capitato a me, che il loro cervello diventi un punto interrogativo.


Queste benedette pagine del libro mi hanno fatto ricordare quando, da ragazzo, salivo sull’albero delle nespole e ne mangiavo a sazietà, perché erano saporitissime e temevo che scomparissero da un momento all’altro. Rischiavo di brutto: no, cari amici lettori, vi dirò subito chi è questa benedetta Abilene, ragazzina tutto pepe. Ma quale bambina curiosa, ostinata, vivace! è una vera ficcanaso! Ama sentirsi raccontare storie, ama inventarsi storie, ama scrivere storie, ama cercare, come un segugio, tra vecchie carte ingiallite di solitudine. E vi dirò subito del padre; che strano personaggio! Quasi come premio per i dodici anni della ragazza, la mette su un treno e la spedisce, come un pacco postale, in una sperduta località. Una cittadina che vive sulla propria pelle la Grande Depressione del 1936, le vicende del Proibizionismo, la presenza atroce del Ku Klux Klan. Un centro, soprattutto, che possiede una sola realtà trasparente: l’ambiguità dei suoi abitanti, l’ombra che lo pervade in ogni angolo, anche quando non c’è sole. No, no, vi dirò tutto, perché non mi pare giusto che voi dobbiate aspettare la lettura dell’intero libro per capirci qualcosa.

La ragazza è sola; si sente, giustamente, abbandonata da un padre, che sembra l’abbia voluta scaricare affidandola a un signore del posto; un amico, che non si capisce chi sia: un giorno è santo, l’altro un diavolo, un contenitore di mille segreti, clandestino tra clandestini.
Tanti personaggi abitano Manifest, il nome della località, che di manifestamente solare non ha niente. Vi dirò subito chi è la misteriosa indovina che pare sappia indovinare solo il passato e del futuro non vede niente, e poi, ancora, vi dirò di una monaca tuttofare. Voglio evitare che il povero lettore si tenga stretto il libro tra le mani e non abbia il tempo di metterlo da parte per poi riprenderne la lettura con calma. Eh no! non è possibile, perché finito un paragrafo, si ha la necessità di leggerne un altro e poi un altro ancora. Perché è un romanzo – matrioska. Non sapete cosa sia un romanzo matrioska? Neanche io veramente, ma leggendo questo libro, un racconto ne contiene un altro e poi un altro ancora. È come da un cilindro, ma non escono conigli, escono altri clindri più grandi e poi altri ancora più grandi, più complicati. Da cilindri piccoli, cilindri grandi? Sì, un romanzo matrioska, ma al contrario, da un racconto che sembra breve e semplice, ne esce un altro più lungo e intricato. Insomma, un ginepraio. Un viaggio, tanti viaggi, nella storia, e nella microstoria, di luoghi e persone.

Pensate: sono stato costretto a leggerlo quasi di un fiato, perché avevo paura che mi si smarrisse qualche personaggio, che mi scomparisse un qualche luogo, che mi si dissolvesse una qualche pagina. Ecco, io voglio evitare ai miei colleghi lettori questa’ansia da avventura. Questa scorpacciata di pericolose delizie. Pertanto, vi dirò subito la fine di ogni percorso, e vi svelerò il vero volto dei personaggi. E così potrete gustare le nespole con calma, senza la paura di cadere dall’albero.

La storia finisce a pagina trecentosettantotto. E non è vero neanche questo. Perché continua anche dopo, con una nota dell’autrice e, poi, con i ringraziamenti. E se vi capita di dare uno sguardo alla quarta di copertina, scoprirete che il libro è vincitore del Newbery Medal Award 2011 “per l’eccezionale contributo dato alla letteratura per l’infanzia”. Ma anche su questo, intravedo un alone di mistero. È un libro di letteratura, e basta. Lo possono leggere tutti. Non è vietato agli adulti, me ne assumo la responsabilità. E chi non ne abbia la possibilità, per qualsivoglia ragione, può farselo leggere ad alta voce, perché un racconto d’avventura è ancora più avventuroso sentirselo avventurosamente evocare da altri.

Vado alla conclusione. Chi è Abilene Tucker? Chi è il padre? Perché …

Non volevo farla lunga, in verità, ma ho già dedicato molto tempo a questo scritto.
E, poi, a essere sinceri, perché dovrei essere divenuto tutto di un colpo buono? Perché dovrei spianare la strada a voialtri futuri lettori? Arrangiatevi, immergetevi tra le pagine di questo bell’albero di nespole (o ciliegio, o more, fate voi!)

Una raccomandazione. Ogni tanto alzate la testa dal libro, altrimenti finirete per convincervi che siete anche voi un personaggio del romanzo. Ma, forse, anche ciò non è vero: forse ci siamo anche noi, per davvero, ragazzi e adulti, in quella storia, in quelle storie.

Sento il rollio di un treno, vedo Abilene che corre, sbarazzina trafilata, lungo i binari ed io, con pantaloni sgualciti, la barba un po’ grigia, che le vado incontro. Su quelle rotaie troverete le mie impronte.

Clare Vanderpool
L’indimenticabile estate di Abilene Tucker
Traduzione dall’inglese di Aurelia Martelli
Edizione italiana EDT/giralangolo
Torino 2012

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