La luce delle parole
di Dario Bellezza
Quando il mito della poesia decade, per un poeta che non voglia considerarsi in pensione, giubilato dalla sua stessa accidia, non resta che una recita pubblica, di fronte a se stesso, come imperterrito faceva Sandro Penna, che si era ritagliato nella società letteraria, dove tutti, soprattutto i mediocri producono a tutto spiano, la parte impunita del poeta che non scrive più. E non sappiamo quanto era vera, ma certo Penna, fedele alla sua immagine giovanile, non voleva deturparla con una diversa immagine, e solo alla fine della vita, pochi mesi prima di morire volle aggiungere al suo “corpus” poetico che non aveva fatto altro che, negli anni, ritoccare, fino alle due edizioni del 1957 e del 1970 presso Garzanti, appunto “Stranezze”. Gliene venne una furia contro se stesso, e non so dire fino a che punto, la morte. Non volle, non voleva il premio Bagutta, e mi telefonò quando gli era già stato assegnato, per dirmi che quel premio portava male, e lo avrebbe ucciso. Così già Penna pagava, anzi espiava il suo mito della poesia nel quale religiosamente era vissuto pur non scrivendo più. Per lui la poesia era realtà, la Realtà, anche se una tutta sua, particolare, come un folle, piccolo vangelo al quale per sempre ubbidire, e che doveva smorzarsi nella vita vera, la vita da altri poeti cantata come assente, volata via nella presunzione di “esserci”. Ora, ho tirato fuori questo “mito della poesia” per più di un motivo, considerando me stesso ad una svolta importante della mia vita, e dunque anche della mia poesia, dove appunto la poesia sta progressivamente decadendo, e la selva oscura in cui mi aggirerò nel futuro, se futuro ci sarà, prevede prosa, prevede oltraggio, prevede certo morte, ma tutto il resto è ormai lontano, come fosse per l’eternità passato. Ora, appunto, mi riesce difficile prendere sul serio la poesia, parlarne, sentendo fortissimo un senso di interdizione, di proibizione, di malattia. Il mio tempo è passato, ed io non sono più un poeta. Consideratemi, nella superbia della mia affermazione, un ex poeta. Così, Dante Maffia, invece, mi viene incontro dai suoi due libretti finora pubblicati, con l’enorme presunzione di coltivare questo mito perenne, e non sa che forse, per una consonanza diabolica, anche per lui si sta aprendo una deriva, una morte provvisoria che riguarda certo la vita, o meglio, la perdita progressiva della giovinezza, con le sue illusioni e i suoi ideali, che fanno “scrivere”, non c’è dubbio.