giovedì 28 luglio 2011

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lunedì 25 luglio 2011

C’è qualcosa di nuovo nel cielo di maggio




C’è qualcosa di nuovo nel cielo di maggio
di Giovanni Pistoia



Sulla collina, poco distante dal campanile, si rincorrono i ragazzini dietro i loro aquiloni. Il cielo ha il colore bianco della perla, il sole primaverile pizzica dolcemente i volti accaldati, l’erba fa smorfie di dolore, mentre il popolo degli aquiloni calpesta i papaveri rossi, le piccole margherite, che occhieggiano, timidamente, tra la verde e insidiosa orticaria. Due aquiloni, che sembrano pipistrelli giganti, si azzuffano in cielo e precipitano a terra tra un coro di disapprovazione e d’ilarità dei tanti ragazzi, che affollano la montagnola di quel bel paesetto.
Marco, un ragazzino di nove anni appena compiuti, dal balcone della sua abitazione, guarda incantato la collina in festa. Discute animatamente con la sorella, Carla, che ha qualche anno più di lui, indicandole, con il dito della mano, l’aquilone più bello.
 

domenica 24 luglio 2011

Candele di Costantino Kavafis


Candele
di Costantino Kavafis

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese,
dorate, calde e vivide.

Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine danno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte.

Non le voglio vedere: m'accora il loro aspetto,
la memoria m'accora il loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.

Non mi voglio voltare, ch'io non scorga, in un brivido,
come s'allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.

VISTA IL BEL SITO:

Per un fiore di Luciano Luisi



Per un fiore
di Luciano Luisi 


Non cercare anche tu di fermarla
la sua luce: qui basta che s'accenda
per un attimo a dire come possa
ogni bellezza irridere
la morte che contiene,
come questa struggente d'un fiore.
Lo so: il rosso ranuncolo che pianto
in poca terra avrà
vita breve: vivrà
ma nel prato spendente nel suo rosso
il tempo d'un estate. "Stagionale"
mi dice il manuale che ho comprato
ieri all'edicola e porta il mio stupore
dentro folti misteri: ciò vuoi dire
che alla sferza dei venti dell'inverno
dovrà morire. (Solo sulla pellicola
sensibile del mio ricordo
continuerà, sempre rosso, a fiorire.)
Ma, come l'erba, ora
che nelle crepe delle mura cresce,
porta vita, accestisce nell'arsura,
le mie segrete fibre
penetra il sole,
le esalta, le sfinisce:
e questo poco basta per non credere
e non sapere
che anche il caldo battito del sangue, musica
che m'accompagna, mia vita,
si spegnerà, fiore anch'esso
che perde il suo colore, "stagionale".

La cagnetta Valentina ripetente per amore




La cagnetta Valentina ripetente per amore
di Giovanni Pistoia



La finestra è un piccolo spazio, appena dietro la cattedra del maestro. I ragazzini, seduti su due lunghe ali di banchi, riescono a intravedere un frammento di cielo azzurrino perlato di innocue nuvolette, il verde di arbusti incolti, binari sui quali giocano le luci e le ombre del sole. L’aula è un lungo corridoio, sulla destra i banchi delle femminucce, sulla sinistra quelli dei maschietti. Il portone d’ingresso affaccia direttamente sulla strada. Non c’è il suono della campanella ma la voce di Dora, la bidella, che chiacchiera con i passanti, mentre gli scolari entrano, di buon mattino, in classe. Quando gli scolari prendono posto, la cagnetta Valentina entra nell’aula e si accuccia all’ingresso. Dora chiude il portone. Il maestro appende il suo largo capello a un improvvisato appendiabito e apre il registro: “Facciamo l’appello!”, e si siede dietro la grande cattedra, posata su un alto piedistallo. Il maestro chiama per nome gli scolari e solo in caso di omonimia utilizza il cognome. Il ragazzo interpellato si alza e dice: “Presente!”. Terminato il lungo elenco, guarda con un sorriso bonario la cagnetta ed esclama: “Valentina!” e i ragazzi, in coro, rispondono: “Presente!”, mentre la cagnetta drizza le orecchie, raccoglie il muso, quasi nascosto da ondeggianti peli argentati e dorati, tra le zampe e assiste alla lezione, meritando sempre un bel dieci in condotta.

Eri il mio bambino più bello




Eri il mio bambino più bello
di Giovanni Pistoia



Eri il mio bambino più bello. Sei stato l’ultimo regalo di tuo padre, prima che andasse via. Un giorno la fitta nebbia gli annullò la vista e finì fuori strada, con il suo vecchio camion, al ritorno da uno dei suoi tanti viaggi. Eri l’ultimo di cinque figli e toccava a me, e solo a me, tirare la carretta.
Ti ho portato in grembo per nove mesi e, a pensarci bene, anche qualche giorno in più. Tuo padre mi portò d’urgenza in ospedale perché non ti decidevi a venire fuori (ah, se tu fossi morto quel giorno!). Poi nascesti, avevi tanti bei capelli castani, che cascavano sulle orecchie e sulla fronte. Eri davvero bello. Ti ho cullato come un piccolo angelo, ti ho dato il mio latte, che non ti è mancato mai. I tuoi fratelli e le tue due sorelle ti volevano un bene pazzo. Crescevi robusto e allegro. Eri la mascotte della famiglia.
Quel giorno che tuo padre ti lasciò, tu capisti, subito, che non sarebbe ritornato più. Da quel giorno, ci stringemmo ancora di più attorno a te. Eri la mia luce, la speranza, la vita, che doveva essere vissuta, pur con il dolore nel cuore.
 

sabato 23 luglio 2011

Itaca di Costantino Kavafis


Itaca
di Costantino Kavafis


Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
ne' nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

venerdì 22 luglio 2011

ASPETTANDO I BARBARI di Costantino Kavafis


ASPETTANDO I BARBARI
di Costantino Kavafis


Che aspettiamo, raccolti nella piazza?

Oggi arrivano i barbari.

Perché mai tanta inerzia al Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?

Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i barbari.

Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono,
alla porta maggiore, incoronato?

Oggi arrivano i barbari
L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto
l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.

Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti?
Perché brandire le preziose mazze
coi bei caselli tutti d’oro e argento?

Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari.

Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?

Oggi arrivano i barbari:
sdegnano la retorica e le arringhe.

Perché d’un tratto questo smarrimento
ansioso? (I volti come si son fatti serii)
Perché rapidamente le strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?

S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.

E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.

(Tratto da Poesie, Oscar Mondadori editori, Milano, 1961. A cura di Filippo Maria Pantani.)