C’è qualcosa di nuovo nel cielo di maggio
di Giovanni Pistoia
Sulla collina, poco distante dal campanile, si rincorrono i ragazzini dietro i loro aquiloni. Il cielo ha il colore bianco della perla, il sole primaverile pizzica dolcemente i volti accaldati, l’erba fa smorfie di dolore, mentre il popolo degli aquiloni calpesta i papaveri rossi, le piccole margherite, che occhieggiano, timidamente, tra la verde e insidiosa orticaria. Due aquiloni, che sembrano pipistrelli giganti, si azzuffano in cielo e precipitano a terra tra un coro di disapprovazione e d’ilarità dei tanti ragazzi, che affollano la montagnola di quel bel paesetto.
Marco, un ragazzino di nove anni appena compiuti, dal balcone della sua abitazione, guarda incantato la collina in festa. Discute animatamente con la sorella, Carla, che ha qualche anno più di lui, indicandole, con il dito della mano, l’aquilone più bello.
Nel paese è festa grande. Le scuole sono chiuse, gli uffici pure, i negozi, invece, sono tutti aperti e le vie sono affollatissime. Nel giorno della festa del Santo Patrono l’intero paese si rianima: tutti vogliono prendere parte alle manifestazioni che gli organizzatori hanno voluto preparare. Le vie principali sono attraversate da archi con disegni fantasiosi e tante piccole fantasmagoriche lampadine. Lungo i marciapiedi bancarelle di diverse dimensioni, colori e sapori, offrono ai cittadini le loro merci. Proprio sotto il campanile della chiesa, nel centro dell’ampia piazza del paese, vi è la bancarella più grande: vi sono giocattoli e poi giocattoli e poi giocattoli ancora. La ressa dei ragazzini e delle ragazzine è tale che la giovane coppia, che gestisce il banchetto fa fatica a tenere a bada la chiassosa combriccola.
Dalla chiesa principale, addobbata con tessuti colorati e da mille fiori, esce nonno Giuseppe, non prima di essersi fatto il segno della croce, stringendo nella mano quella del nipotino per evitare che il piccolo possa smarrirsi tra la folla. Il nipotino sa dove lo porterà il nonno, alto e robusto, proprio come il gigante buono della favola: lo porterà alla ricerca della bancarella per comprargli i gustosissimi cavallucci di caciocavallo, che a lui piacciono tanto.
Quest’anno gli organizzatori hanno voluto fare le cose alla grande: oltre ai festeggiamenti religiosi, che si concludono, come al solito, con un’esplosione di fuochi pirotecnici a mezzanotte in punto e che terranno con il naso all’insù tutti i cittadini, è prevista la gara degli aquiloni. Alla gara partecipano tutti i ragazzi e le ragazze del paese. Per tanto tempo nella parrocchia e nelle scuole i ragazzi hanno imparato a disegnare e costruire aquiloni, che, ora, volano qui e là, danzano, ondeggiano, prendono il volo, cadono, si alzano nuovamente, mentre tutti gli sguardi s’incrociano in alto, sempre più in alto.
Ma la novità più importante è che questo giorno, dedicato al Santo Patrono della città, vuole essere anche un giorno da riservare ai “diversamente abili”, a chi, per cause diverse, incontra nella vita alcune particolari difficoltà.
L’abitazione di Marco non dista molto dalla collina e, comunque, per raggiungere quel posto bisogna fare giri tortuosi, in macchina. Marco vorrebbe essere lì, su quella montagnola, scorazzare tra quei prati, veder volare il suo aquilone preparato con cura insieme alla sorella, ma non può andare se prima non arriva il papà. Nell’attesa osserva dal suo balcone volteggiare gli aquiloni, i ritmi frenetici della gente; s’inebria dei rumori della festa. Quando la piccola auto del papà si ferma all’ingresso del portone di casa, negli occhi luminosi di Marco si riflettono tutti i colori della primavera. Il papà di Marco, un uomo giovane e aitante, ha il vestito della festa. È strano anche per i familiari vederlo in camicia bianca con cravatta, dal momento che indossa sempre la tuta di grasso e olio da meccanico. Esce di corsa dall’auto, sale le scale di casa, prende, tra le sue forti braccia, Marco e dice: “Forza, andiamo alla festa che è già tardi”. Con prudenza scende le scale e adagia il ragazzo sul sedile posteriore della macchina. Intanto Carla chiude meticolosamente la sedia a rotelle di Marco e la sistema nell’auto, dove prende posto insieme alla madre, mentre il papà è già alla guida, pronto per partire.
Arrivati a un bivio, imboccano la strada, che conduce alla piazza principale e di lì a poco alla collinetta. Vengono fermati da una pattuglia di vigili urbani, che indicano loro di non poter proseguire con la macchina ma a piedi. Il papà di Marco fa presente che il figlio non può avvalersi delle gambe e usa solo la sedia a rotelle e in quelle condizioni non può raggiungere i posti desiderati, che si trovano, tra l’altro, nella parte alta della città. La risposta dei vigili è secca: non si può. C’è un divieto, bisogna rispettarlo, e vale per tutti. Possono parcheggiare lì vicino e proseguire a piedi. La discussione si fa animata, scende dall’auto anche la mamma di Marco e poi Carla. Marco resta in macchina e intuisce dalle parole e dagli atteggiamenti che per lui la collina è lontana, irraggiungibile. Intanto arrivano altri veicoli, si rischia un ingorgo e i vigili intimano alla famiglia di Marco di spostarsi per non intralciare il traffico. L’auto è dirottata in una strada vicina, accanto ad un parcheggio. Marco resta senza parole, sulle gambe, senza vita, l’aquilone color viola. Nei volti dei genitori tanta amarezza. Sulle bacheche, nel parcheggio, sono affissi grandi manifesti, che riportano il programma della festa e ricordano e informano la città sui motivi che hanno spinto gli organizzatori nel “dedicare un’intera giornata anche a quelle persone considerate diversamente abili”. Carla è paonazza. Stringe i pugni e ha un fuoco che le cova dentro. Cerca disperatamente delle soluzioni; le espressioni avvilite del papà e della mamma non lasciano prevedere una soluzione. Rientrano in macchina, e sotto lo sguardo assente di Marco, ritornano verso casa.
La notizia, trasportata da un acuto venticello di maggio, raggiunge il parroco, che sta dicendo messa nella chiesa principale del paese. Sospende l’omelia e annuncia che l’amore non si predica, si attua e basta. Invita tutti i presenti a raggiungere la famiglia di Marco per affrontare e risolvere l’incresciosa situazione. La notizia si posa sulle morbide ali di una vispa farfalla e raggiunge anche il sindaco, che tiene il discorso di circostanza ai partecipanti alla gara. Sospende la cerimonia e comunica ai presenti che oggi la sua amministrazione ne ha combinata una davvero grossa. Con chiarezza dice che la solidarietà non serve scriverla sui muri della città, si attua e basta. E invita tutti a recarsi a casa di Marco per risolvere la brutta faccenda. E Marco non crede ai propri occhi davanti a quegli eventi che cambiano la sua giornata. E Carla, sospettosa fino all’ultimo momento, accenna a un sorriso quando il fratellino e la famiglia possono raggiungere la piazza della cittadina, la chiesa, le bancarelle e, infine, l’agognata collina, dove gli aquiloni disegnano capricciose traiettorie. “C’è qualcosa di nuovo, forse, oggi, sotto questo cielo di maggio”, pensa la ragazza stringendo tra le mani le lunghe trecce dei suoi capelli morbidi.
Da quel giorno, in quel bel paese, tutto si predispone e si organizza a misura di chi è diversamente abile e si scopre che, così facendo, si realizza ogni cosa a misura di tutti.
C’è qualcosa di nuovo nel cielo di maggio
di Giovanni Pistoia
disegni di Cosimo Budetta
25 luglio 2011
NOTA
Il racconto è apparso per la prima volta nella rivista “Mondiversi” (anno IV, n.4, maggio 2006). Ripreso da alcuni siti: www.mondiversi.it; www.fondazionedeluca.it; http://giovannipistoia.blogspot.com (21 ottobre 2007). È riproposto con leggere variazioni.
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