Ci lasci uscire, bella signora!
di Giovanni Pistoia
Don Abbondio passeggia nervosamente lungo il corridoio sotto un cappellaccio, che gli nasconde il volto rotondo come un pallone. Sbuffa e biascica frasi un po’ enigmatiche: “E questo matrimonio non si può fare perché quel delinquente ha deciso così, e l’altro matrimonio non si può fare perché… è un accidente qualsiasi e… io che c’entro, che c’entro io… ”. Le mani dietro la schiena, basso, e gonfio come una botte di vino, il prete non si ferma un istante. Da una stanza buia, con un coltellaccio che usa come stuzzicadenti, il mafiosetto da quattro soldi guarda torvo Cappuccetto rosso che se ne sta seduta in un angolo con un muso lungo un chilometro, mentre è immersa in pensieri lontani.
Un tonfo secco, a un tratto, scuote quei grandi locali: un grosso cane precipita paurosamente da uno di quegli scaffali e piomba a terra emettendo un pietoso lamento. Corre verso il povero animale un preoccupato Pinocchio, deciso a confortarlo per la terribile caduta e Zanna Bianca, terrorizzato da quel lungo naso rosso come un pomodoro, riesce a raccogliere le poche forze e a nascondersi sotto la pancia dell’orso Winnie the Pooh che, in quel momento, confabula vivacemente con il collega Tigro.
Intanto lungo le pareti appare un elegante topo da scrivania, un intellettuale tutto di un pezzo, con un fascio di giornali sotto il braccio e un notebook in mano. Parla animatamente al telefonino, pavoneggiandosi tra i presenti: “Questa storia deve finire! Preparo un editoriale per il mio giornale. Qui faccio succedere un quarantotto, smetterò la mia campagna giornalistica solo quando questo strazio sarà finito.” Ad assecondarlo una grintosa Tea.
Con una candela in mano si fa largo nella confusione generale una brillante Biancaneve, splendente come non mai, ma dal volto bianco cenere, di chi non vede il sole da tanto tempo. S’incontra con la dolce, piccola Dorrit e si abbracciano: “Abitiamo da tanto tempo così vicino, ma non abbiamo mai avuto il piacere di incontrarci”, dice Biancaneve e Dorrit risponde: “È vero. Ci hanno depositate come cose inutili tra questi quattro muri e non abbiamo più voglia neanche di scambiarci qualche notizia tra noi. Siamo proprio mummificate.” Intanto, baldanzosa, avanza, con passo deciso, stretta in una vorticosa minigonna, Cloe, che prende sottobraccio le ragazze e le conduce nella stanza vicina, dove trovano la principessa sirena, Lucia, che canta con la Sirenetta, amica prediletta di Andersen.
Una freccia sibila nell’aria e si conficca in un angolo di finestra chiusa da un pezzo. È Robin Hood che scavalca, quattro, cinque ripiani e viene giù deciso a far parte attivamente della comitiva: “Sono da troppo tempo in letargo e ho voglia di muovermi un po’. I miei amici hanno ancora bisogno di me”. Il caos sveglia la Bella addormentata nel bosco, che non si rende conto di cosa succede; cerca sconsolatamente il cavaliere coraggioso dei suoi sogni che, in verità, ha paura del bosco di sera e preferisce viaggiare verso il centro della terra.
Intanto anche la bella Colomba, che è stata rapita da orchi cattivi, ritorna, dopo una lunga prigionia, con la sua adorabile nonna. Stanca di starsene muta nell’angolo più nascosto dell’ultima mensola, decide di mescolarsi tra la folla, che riempie sempre più i corridoi degli ampi locali, e comunicare la sua triste avventura.
In questa notte la baraonda non ha fine. Il romantico partigiano Johnny si trova a cavallo di Moby Dick; Amir, ora adulto e vaccinato, invecchia, chiuso nei suoi amari rimorsi, desidera raccontare al mondo la sua odissea e quella dell’amico tradito, Hassan, il ragazzo che amava gli aquiloni. Anche Garibaldi, da troppo tempo abbracciato alla sua eroina, intende mettere su un rinnovato esercito e non sa, però, quali colori dovrà avere la sua nuova camicia: il rosso non è più di moda, il nero ricorda brutti momenti, il verde è contro i suoi ideali. Il colore bianco? Si sporca, ahimè, facilmente. Intanto è pronto a dar battaglia in questa notte indiavolata.
Dagli angoli più riposti e dal sottoscala, che sembra proprio un lungo cunicolo, escono timorosamente i tanti miserabili di Hugo, a ricordare a tutti che l’abbrutimento dell’uomo non ha fine. Ma a piantarsi davanti al portone d’ingresso di quei locali, situati nel grande edificio che guarda sonnolento la luna, la bella Dulcinea, e con lei l’ingegnoso Don Chisciotte della Mancia e il suo fedele scudiere Sancio Panza, armati con lance spuntate e scudi, in coraggiosa attesa.
Quando la professoressa Rosa Rosetta spalanca, al mattino seguente, la porta della biblioteca, della quale è responsabile, rimane impietrita. Muta. Atterrita. Sconvolta. Davanti a lei, la signora Dulcinea, la lancia di Don Chisciotte e, poi, tutti quei personaggi, che affollano, taciturni, i lunghi corridoi e i locali della biblioteca. Libri per terra in gran disordine, fogli svolazzanti. Scaffali semivuoti e tanti personaggi di storie, racconti, favole, cartoni animati usciti magicamente da quelle pagine per riempire le stanze.
La professoressa, ferma sull’uscio con le chiavi e la borsetta in mano, è una statua di cera. Cosa succederà? C’è un silenzio angosciante. Tutti gli sguardi sono per la responsabile, e lei trova la forza di emettere un grido spaventoso. L’unica reazione dopo secondi, minuti interminabili di immobilismo totale. Cosa fare? Si gira su se stessa, pronta a scappare il più lontano possibile da quella visione paradossale e agghiacciante. Ma la paura è tanta, e le gambe fanno cric e crac.
“Non avere paura - dice una voce gentile -. Siamo solo personaggi di carta, amici di piccoli e adulti. In verità, vorremmo essere amici di tutti, invece siamo costretti da tanto tempo a restare chiusi in questi depositi polverosi, a invecchiare di noia. Ci lasci uscire, bella signora. Vogliamo incontrare i nostri amici, che, anche se non lo sanno, ci aspettano. Hanno bisogno di noi, e noi di loro. Qui non viene nessuno da tanto tempo. Molti non hanno voglia di incontrarci, altri non sanno neppure della nostra esistenza. Non siamo nati per fare le statuine, bella signora.”
Detto ciò, come per incanto, i vari personaggi ritornano nelle loro pagine. La responsabile apre tutte le finestre, anche quelle chiuse con chiavistelli coperti di ruggine. Avvia un lungo, sorridente chiacchiericcio con i protagonisti di carta, scusandosi per averli sempre ignorati. Un comportamento, lo riconosce sinceramente, molto grave, particolarmente per il suo ruolo.
Da quel grande edificio, fino a qualche tempo prima solitario e silenzioso, ogni giorno, personaggi di varie età, di colori, lingue ed epoche diverse, vestiti a nuovo, disinvolti come non mai, escono ora seri, ora spensierati, ora allegri e mattacchioni e, portando sottobraccio piccoli e adulti, se ne vanno per la città a scambiarsi emozioni, confidenze e conoscenze.
Nei locali delle varie biblioteche cittadine, non è raro sentire bibliotecari e lettori dialogare, a volte, anche calorosamente, con stralunati signori, animali parlanti, eroi veri e di fantasia, filosofi e romanzieri. I cronisti, normalmente impegnati a occuparsi di altro, si interrogano, ora, su che cosa sia davvero successo in quella notte degli imbrogli.
Ci lasci uscire, bella signora!
di Giovanni Pistoia
disegni di Cosimo Budetta
L’albero delle mele d’oro
29 agosto 2011
NOTA
Il racconto è apparso per la prima volta nella rivista “Mondiversi” (anno V, n. 2, marzo 2007). Ripreso da alcuni siti: www.mondiversi.it; www.fondazionedeluca.it; http://giovannipistoia.blogspot.com (21 ottobre 2007). È riproposto con leggere variazioni.
Ciao! Sono già tornata da Roma. Quante cose che non ho potuto leggere in questi giorni! Spero aver un po' di tempo e di calma per godere i tuoi racconti. Tantissimi auguri per la Poesia sotto le stelle di sabato. A presto.
RispondiEliminaBen tornata. So che da Roma ti sei portata il sole, il fascino e... tanti libri... lascia stare i miei racconti... Poi con calma mi dirai della tua esperienza romana. A presto, Giovanni
RispondiElimina