sabato 27 agosto 2011

Il mare è stanco




Il mare è stanco
di Giovanni Pistoia


Case bianche e basse. Muri diroccati e abbandonati alle ortiche. Tanti palazzi, e senza colori. Il paese si distende tra la collina arsa e una spiaggia portata via dal cemento. Il verde è sempre più una specie in estinzione, anche se uliveti secolari resistono ai fulmini e alle stagioni senz’acqua. D’estate vie e vicoli, piazze e spiagge recintate si animano di musiche e di canti, di ampi sorrisi, di abbracci e racconti. Con il venir meno del caldo le voci si disperdono. I treni affollati riportano i vacanzieri, gli emigrati e gli universitari verso le città. Nel paese ridiscende il silenzio. Gli abituali abitanti, sempre più anziani, recuperano il ritmo di sempre. E così anche i treni. Sempre di meno, e sempre più vuoti, a transitare tra stazioni ferroviarie incustodite. Il mare è stanco, il suo ansimare logora chi lo ha troppo vicino.
  

Anche quella sera, così come tante altre, Riccardo, la moglie Sonia e il figlio Saverio sono sull’uscio del loro negozio di elettrodomestici a fare quattro chiacchiere con gli ultimi clienti. Natale non è lontano e chi può comincia a rinnovare qualche vecchio arnese di casa. Riccardo ha un’attività commerciale ben avviata proprio sulla piazza principale del paese. Abita lì vicino, con la sua famiglia, in una palazzina graziosa. La serata è fredda, qualche goccia d’acqua comincia a picchiare sull’asfalto delle strade, ormai quasi deserte. Salutato l’ultimo cliente, Riccardo controlla le finestre, attiva l’allarme, chiude le luci. Il rumore delle saracinesche segnala la fine della giornata lavorativa. Un’ultima ispezione ai pesanti catenacci e, di corsa, a piedi verso casa in buona compagnia. La piazza è illuminata da un paio di lampioni piuttosto vecchiotti, dal neon dei due bar ancora aperti e dalle luci della sala giochi, ritrovo dei giovani. Al centro del piazzale un albero di pino, sistemato alla buona dagli operai forestali, attende le luminarie natalizie perché lo ricompensino dalle menomazioni subite per rallegrare il Natale dei bambini.

Nel cuore della notte un botto squarcia il silenzio. E poi un altro. Un altro ancora. Riccardo salta dal letto. Il cuore ha un atroce sobbalzo. Conosce quei botti. Riccardo teme il peggio. Anche Sonia è giù dal letto. Saverio, che dorme al piano di sotto, sale precipitosamente le scale e in un attimo è nella stanza da letto dei suoi. Conoscono quegli scoppi. Altre volte il loro negozio è stato preso di mira dalla banda delle estorsioni. Si spera che non sia così, non sarebbe la prima volta, certamente sarebbe l’ultima, quanto è vero Dio, pensa, agitatissimo, Riccardo. Aprono la finestra, sollevano le imposte e sullo sfondo, al di là della piazza, una lunga scia di fumo e di fuoco si alza verso il cielo. È proprio così. Tutto lascia prevedere che è proprio dal negozio di Riccardo che viene l’inferno. Quattro panni addosso, giù per le scale, e via, di corsa, ad attraversare la notte.
Le saracinesche sventrate, il fumo e le fiamme invadono il palazzo abitato. Gli inquilini precipitosamente escono dai loro appartamenti, mentre una volante dei carabinieri è sul posto. Riccardo cerca di fare qualcosa, aiutato da pochi altri, per evitare danni maggiori, mentre i pompieri tardano a venire perché hanno sede in una località piuttosto lontana.
Sonia è irrigidita davanti a quelle scene viste altre volte. Saverio cerca di aiutare il padre e impreca contro i criminali del paese. Sono noti a tutti, nessuno li ferma. Il provvidenziale arrivo dei vigili del fuoco salva l’intero fabbricato ed evita danni più gravi. Qualcuno degli inquilini s’avventa contro Riccardo ritenendolo responsabile di quello che è successo. Testa dura quel Riccardo. Non vuole pagare. E allora se ne vada, non può mettere a repentaglio la vita di tanta gente che abita nel condominio. Questa volta la tragedia è stata evitata e… domani? Dove pensa di vivere Riccardo?

Le prime luci dell’alba trovano Riccardo, Sonia e Saverio impegnati in quei locali nel tentativo di salvare qualcosa. I loro volti sono indecifrabili. Rabbia? Delusione? Rassegnazione? Bocche chiuse, mute. Riccardo sa che ora ricomincia il solito iter: interrogatori dei carabinieri, verbali, ipotesi, eccetera. Un rito che si ripete da tempo. Denunce altre volte avanzate, con nomi e cognomi ma, poi, le prove, i testimoni che ci sono e non ci sono, le udienze rinviate, i processi che non si celebrano e nell’attesa il donrodrigo circola tranquillamente, le intimidazioni... la voglia di chiudere tutto e andare via per sempre.

Nei giorni successivi, sulle saracinesche riparate frettolosamente, un cartello avvisa che tutto il materiale salvato dall’incendio è in vendita a prezzi vantaggiosi. In un giorno si vende tutto, tranne un computer che due fratelli giovanissimi guardano con avidità. Riccardo li conosce bene, sa che la loro famiglia è stata distrutta, con l’assassinio del loro papà, dai bastardi del posto. Li chiama e dice loro che quel computer lo possono portare a casa, gratuitamente.
Riccardo rifiuta interviste alle tv venute a riprendere e raccontare l’ultimo fattaccio. Non partecipa a incontri al Comune con le forze politiche della cittadina. Compie solo gli atti dovuti per legge, e basta. Non intende ripetere, per l’ennesima volta, un copione già scritto e recitato.

Le strade principali del paese, in una sera fredda e piovosa, si riempiono di giovani e di cittadini, di politici e amministratori: tutti a manifestare contro la mafia. Sulle vette delle colline c’è anche qualche spruzzo di neve. Ci sono bandiere e striscioni. C’è tutto il paese raccolto sotto l’albero di pino illuminato a festa, ora che Natale è vicinissimo. Ma Riccardo, Sonia e Saverio non sono tra loro. “Vedi – dice Riccardo ai suoi – ci sono tutti, anche i mafiosi protestano contro la mafia. Alla fine della manifestazione tutti al bar a prendere un caffè. Domani si ricomincia.” Saverio si mostra un po’ perplesso. “Però ci sono tanti giovani. Molti di loro vogliono veramente che qualcosa cambi.” “È vero – dice il padre – loro rappresentano la speranza. Eppure chi ha il dovere di intervenire non interviene. Li illude, e basta. Occultarsi dietro le speranze dei ragazzi è un delitto atroce. Leggi, codici, procedure, inefficienze, è tutto un sistema a tutela di chi commette reati. Se non si mette mano a questi strumenti anche i soldati dell’esercito verranno a fare le belle statuine. E, poi, la politica: tutti con dichiarazioni di fuoco contro la corruzione, il clientelismo e i delinquenti e… ma chi è che fa le leggi? Le elezioni sono vicine. Il Natale non è ancora arrivato, ed è già lontano.”

Qualche giorno dopo un avviso sulla palazzina della famiglia di Riccardo segnala il nome di un’agenzia delegata a vendere l’immobile. Analoga comunicazione sulla porta d’ingresso di quello che una volta era un negozio di elettrodomestici e di informatica.

Per anni di Riccardo, Sonia e Saverio non si sa più nulla. Inaspettatamente, un giorno un quotidiano pubblica l’intervista a un nuovo magistrato insediatosi nel vicino tribunale. Il suo nome è Saverio e parla del padre, morto di crepacuore, in Germania, dopo la terribile esperienza nella loro terra d’origine. Saverio, ora, indossa la toga. La madre non lo ha voluto seguire. Il mare è stanco.

Il mare è stanco
di Giovanni Pistoia
disegni di Cosimo Budetta
L’albero delle mele d’oro
27 agosto 2011

NOTA
Il racconto è apparso per la prima volta nella rivista “Mondiversi” (anno IV, n. 7, novembre 2006). Ripreso da alcuni siti: www.mondiversi.it; www.fondazionedeluca.it; http://giovannipistoia.blogspot.com (21 ottobre 2007). È riproposto con leggere variazioni.

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