mercoledì 11 gennaio 2012

Il negoziante di tessuti





Il negoziante di tessuti
di Giovanni Pistoia

  


Luigi era un signore gentilissimo, un lavoratore tutto di un pezzo. Dal mattino alla sera chiuso nel suo negozio di stoffe. Gli affari erano andati per lui discretamente bene, sia pure tra alti e bassi. Con l’aiuto di parenti, era riuscito a mettere su un negozietto. Era un commerciante nato, il suo esercizio, il più fornito del circondario, il primo a offrire alla clientela le novità delle aziende del settore. Aveva con le stoffe un’armonia che estasiava chi lo osservava. Misurava la lunghezza dei tessuti richiesti con il braccio, non sbagliava mai. Usava un paio di forbici affilate che pizzicavano appena il panno e, poi, via, le sue mani facevano il resto. Misura perfetta, taglio perfetto.

Mai un viaggio, mai in vacanza, mai un riposo. Diceva, a chi gli faceva osservare che immolarsi per la sola causa degli affari non era cosa giusta, di non poter permettersi distrazioni; doveva sempre essere disponibile per i clienti, “altrimenti vanno via e non li riprendi più.”
Economicamente stava bene, ma aveva un figlio al quale doveva lasciare pure qualcosa. E così la sua vita trascorreva tra casa, una bella palazzina nella parte più alta della città, e il negozio. La domenica, e nelle feste più importanti, una visita in chiesa. Col tempo si fece costruire una casetta anche al mare, dove la sua famiglia andava d’estate: la famiglia, lui no. Il suo esercizio stava sempre aperto tranne quando per legge doveva stare chiuso. E anche quando era in casa, si tuffava tra le carte, le fatture, gli ordini, le spedizioni, le bollette; sempre impegnato, preoccupato; sempre a controllare il suo conto in banca, le entrate e le uscite; sempre imbronciato. “Perché anche se le cose vanno bene – diceva - non bisogna mai abbassare la guardia.”

La moglie di Luigi, Sonia, una brava donna di casa, sempre a occuparsi della famiglia e a cercare di distogliere quel marito dall’ossessione del lavoro: in fondo avevano tutto, non era proprio il caso di rovinarsi la vita così. Lui la guardava, pensoso, e dondolava lentamente la testa. Il figlio, Giacomo, con fatica sui banchi di scuola. Si era iscritto all’università per fare contento i suoi, ma nella città universitaria lo studio era poco, il divertimento non mancava. L’assegno di papà era sempre puntuale ogni mese e, a volte, ci scappava anche lo straordinario, chi sa per quale incombenza.

Il bravo commerciante, quel mattino di agosto, prendeva il caffè, con alcuni amici al bar, vicino al negozio, quando si accasciò su una sedia. La morte sopraggiunse improvvisa. Bevve il caffè amaro e se ne andò.

Il figlio prese le redini dell’attività commerciale. In breve tempo, sciupò tutte le risorse paterne. Lasciò la mamma in una casa in affitto, e si eclissò per le strade del mondo.


La povera donna, quando va al cimitero, si sofferma a lungo sulla tomba di Luigi. Non aveva mai avuto tanto tempo quel povero marito per stare con lei; quel benedetto negozio lo avevo trafitto. Ora stanno insieme per ore. Lei gli dice che tutto va bene. Le case sono ben arredate, gli affari a gonfie vele. Non può certo dirgli che il lavoro di una vita è andato in fumo in tempi brevissimi e che lei, ora, è sola, e vive tra mille disagi. No, non può dirlo, perché il buon Luigi morirebbe un’altra volta. O, forse, ritornerebbe; inizierebbe tutto daccapo per riavviare la ditta. No, questo lei non potrebbe sopportarlo. Meglio che resti tutto così, almeno quel gran lavoratore di Luigi ha un po’ di tempo tutto per lei, tutto per loro, all’ombra di un cipresso sbarazzino e lo squittio vivace di un passero amico.

Il negoziante di tessuti
di Giovanni Pistoia
11 gennaio 2012

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