“HO
DIMENTICATO LA MIA OMBRA e altri racconti”
di
Giovanni Pistoia
INTRODUZIONE*
di
Dante Maffia
Sono
sempre stato un lettore accanito di racconti: nel racconto trovo la misura
perfetta di azioni, pensiero e poesia coagulati nell’arco di brevi pagine che
sintetizzano mondi profondi. Ma chissà perché, sui racconti l’editoria è ostica
e sempre più convinta che non siano merce vendibile e debbano perciò restare in
purgatorio. Eppure la grande tradizione, non solo italiana, nasce dal Novellino,
da Giovanni Boccaccio, e dai vari Masuccio e Sacchetti che hanno dato lustro a
un genere così meraviglioso, al punto che non più di trenta anni addietro
Giuseppe Pontiggia e Piero Chiara, in proposito dissero, quasi all’unisono, che
è più difficile realizzare un racconto anziché un romanzo o una poesia.
Per
fortuna, al di là delle posizioni delle case editrici, il culto del racconto
perdura in tanti e trova sempre dei cultori appassionati (per esempio Mario
Soldati, Carlo Cassola, Tommaso Landolfi) che ne fanno momenti irripetibili.
Anche
Giovanni Pistoia si è voluto cimentare con il racconto convinto che, lo sosteneva
Edmondo De Amicis (ma anche Verga, Pirandello, Ferdinando Martini, Guelfo
Civinini, Renzo Pezzani) sia possibile, attraverso di esso, fermare i momenti
diversi dell’esistere dandone i risvolti più particolari, più impensati.
Giovanni
Pistoia aveva fatto conoscere attraverso un suo blog e attraverso alcune
riviste questi gioielli. Li ha intitolati Ho dimenticato la mia ombra
(titolo mutuato da un famoso romanzo tedesco) e vi ha messo dentro tutta la sua
umanità a volte caricata di un forte umore etico. Per lo più sono racconti
ambientati a scuola, nel mondo dei ragazzi, e fanno sentire il brivido delle
emozioni che nascono dall’impatto con le ingiustizie, con l’amore (inteso nella
sua ampiezza più autentica) e con la morte.
Ognuno
ha qualcosa di accattivante e di originale (altrimenti sarebbero storielle di
una quotidianità irrilevante), a cominciare da I sogni del viandante che
svela immediatamente la poetica di Giovanni Pistoia imperniata di sogni
rigeneratori, di utopie che però devono attivare le coscienze degli uomini e
portarle sulla rettitudine. Intendiamoci, Giovanni non recrimina, non giudica,
semplicemente racconta dei fatti, e lascia la libertà di entrare in certi mondi
che diventano comunque emblema di una città ideale.
Si
alternano vicende che hanno risvolti orribili (si cfr. Quando il cielo è
cupo), con vicende che nascono dal rapporto costante con la letteratura (si
cfr. Ci lasci uscire, bella signora!), forse il racconto più bello, e ci
sono racconti fiabeschi con aloni di tenerezza che coinvolge e stupisce. Si
avverte che Giovanni Pistoia possiede in sommo grado lo sguardo attento di chi
rapporta il proprio mondo a quello degli altri. Nel suo immaginario non
esistono le monadi, non esistono mondi separati e asfittici a cui viene negata
la possibilità di interagire. Personaggi, paesaggi estivi, primaverili o
innevati, animali e cose si muovono nella dimensione di una realtà accesa da
sfumature surreali che danno ritmo e bellezza alle pagine. Per lo scrittore non
ci sono barriere e tutto è possibile, proprio come nel mondo dei sogni. E ciò
mi fa pensare che egli abbia scritto questo libro con un occhio pedagogico
attento, pensando di poter suggerire, soprattutto ai piccoli eventuali lettori,
una realtà che non sia e non debba essere per forza quella del grigiore d’ogni
giorno, ma aperta al divenire, al senso dei mutamenti che sono possibili se
davvero crediamo nelle cose, se davvero entriamo nella dimensione del sogno e
la coltiviamo come si devono coltivare i fiori innaffiandoli e accarezzandoli.
Al
fondo di tutti i racconti c’è un atteggiamento di umana comprensione, di
tenerezza offerta come viatico per sopperire alle tristezze e ai mali del
mondo, e c’è la preoccupazione dell’indifferenza. Se si fa caso, Giovanni
Pistoia non accetta che le cose vadano per un verso casuale; egli vorrebbe che
ognuno di noi intervenisse per correggere le sconcezze, per evitare il
diluviare dell’egoismo, della violenza, del dolore. In questa direzione il
libro è perfino edificante, non naturalmente in senso confessionale, ma nel
senso più largo e più esteso che si possa immaginare. E la letteratura dovrebbe
avere anche questo compito facendolo passare attraverso le maglie
dell’estetica, come sostenevano sia Fedor Dostoievskij e sia Wolfango Goethe,
cosa che Giovanni Pistoia fa, con le sue descrizioni eleganti e calibrate, con
le annotazioni poetiche che fotografano bene la condizione umana, con il suo
linguaggio cristallino e mai adombrato da ambiguità e da complicazioni
linguistiche o da elucubrazioni semantiche senza riguardo.
Si
tratta dunque di una raccolta di racconti davvero fuori dal comune, una di
quelle raccolte che proseguono la grande tradizione e la rinnovano con la
consapevolezza che i tempi sono mutati ma non è mutato l’uomo nella sua
sostanza, tanto è vero, come dice Salvatore Quasimodo, che è ancora “quello
della pietra e della fionda”, oltre che quello dei supersonici e del computer.
*Il
testo, a firma di Dante MAFFIA, è l’INTRODUZIONE al volume “HO DIMENTICATO LA MIA OMBRA e altri
racconti” di Giovanni Pistoia (Photocity Edizioni, maggio 2012).
Chi
desidera eventualmente ordinare il libro può farlo rivolgendosi esclusivamente a
Photocity Edizioni, cliccando sull’indirizzo che segue:
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