L’albero delle mele d’oro
Il giardino
e l’albero…
ai limiti del vecchio bosco
nella selva d’Esperia,
dorato luccicava il frutto
sui rami eterni…
Un luogo sacro
ove le dorate sfere di frutta,
quali soli minori,
splendevano
nelle ombrose caverne
di fogliame
così tutto
si fece più distinto.
I primi uomini
battezzarono questo luogo
e il mondo.
Inventarono per essi le parole:
giardino e albero
Poi mischiarono i nomi…
Le mele dorate
portarono un fiume
di parole…
Ho rovistato in vecchi scatoli di libri. Testi per lo più scolastici ai quali resto affezionato: poco importa se utilizzati da me o da altri, figli, nipoti o allievi. Alcuni di questi volumi, non so neanche come siano finiti nella mia libreria e, poi, inevitabilmente, impachettati e messi in un angolo. A buttarli neanche a parlarne. Buttare un libro per me è cosa assurda. Mi rendo conto che non si può conservare tutto. Mi rendo conto che conservare un testo scolastico delle medie di tanti anni fa può non avere senso, eppure… che lo facciano gli altri: io non lo butto. È più forte di me.
In questi giorni noiosi di febbraio, tempo umidiccio, sole raro, rabbia in corpo, e tanto altro ancora, mi sono imbattuto in un testo dal titolo “L’albero delle mele d’oro”. Autori, Ivana Bosio e Elena Schiapparelli. Si tratta di una “Antologia attiva per la Scuola secondaria di 1° grado”, a cura di Doriana Goglio, Edizioni “il capitello”, Prima edizione: gennaio 2003.
Leggo nella prima pagina: “Per realizzare un libro non bastano competenza, passione e creatività: occorre un lungo e paziente lavoro fatto di numerosi controlli sui testi, sulle illustrazioni e sulla relazione che lega gli uni alle altre. Per questo motivo è spesso impossibile pubblicare un libro del tutto privo di errori.” E pensando al lavoro che sta alla base di un libro o, come in questo caso, di una antologia per giovanissimi, diventa davvero difficile disfarsene.
A pagina tre si pubblicano i versi riportati all’inizio di questo scritto. “Così un poeta – si legge nel testo – ottocentesco, Randolph Henry Ash, ha rielaborato il mito classico delle Esperidi, le divinità che custodivano l’albero delle mele d’oro.”
Le mele d’oro rappresentano, in sostanza, i frutti che illuminano l’oscurità dell’ignoranza, dando, così, la conoscenza, il sapere, grazie alla magia delle parole, al fascino della scrittura, al racconto orale. Anche se in alcuni momenti sembra che l’oscurità sia più forte della luce, bisogna sempre pensare che, per quanto buia e lunga possa essere la notte, arriva il sole e, quindi, la luce riprende il sopravvento.
La parola è forza, autonomia, libertà, e altro ancora. Amo il silenzio. Anche le parole amano il silenzio, quando è necessario tacere. Le parole vanno usate con sobrietà, mai buttate senza un attimo di riflessione. Sono belle le parole ma, se usate male, possono fare anche male, molto male. Se qualcuno mi costringe a stare muto, ebbene la voglia di gridare diventa forte. La parola si impone e vuole esprimere tutto quello che si ha dentro.
Per farla breve: mi sono innamorato del titolo di quest’antologia, dei bei versi del poeta Randolph Henry Ash, al quale mi sono dedicato con più attenzione in questi giorni, e ne ho fatto il titolo di questo blog. Niente di originale, mi rendo conto. Ma bisogna essere originali per forza?
P.S.: A proposito dell’antologia citata, è ben fatta. Per quel che possa valere, la suggerisco volentieri.
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