Il pianoforte della vita
Dopo un giorno di sole, di cielo azzurro, di aria calda, di fiori sorridenti, eccoci nuovamente con un cielo cinereo, sole nascosto, umidità, monti avvolti nella foschia. E così anche l’umore è grigio, i pensieri più turbolenti del solito, la voglia di prendere un sonnifero, dormire. Non perché si ha sonno, ma perché si vorrebbe sparire dal mondo e, soprattutto, ignorarsi. Nell’attesa che qualcosa avvenga, qualcosa di buono, ovviamente. Ma illudersi non serve a niente. Il mondo va vanti lo stesso, e si continua a essere costretti a viverlo tra alti e bassi, tra sprazzi di serenità e tonfi di malinconia.
Già, oggi è una giornata nera. Se volete, non proseguite. In fondo questo è un mio diario, non chiuso in un cassetto ma riportato su un blog. Scrivo per me. Scrivo anche sapendo che nessuno è interessato alla lettura. La scrittura come terapia, dunque? E perché no. Scrivo cose senza senso; si fanno tante azioni che non hanno senso e non capisco perché non si debbano scrivere cose che non hanno un contenuto, una ragione, una morale. Scrivere per scrivere, allora? E perché no. Si calpesta, forse, qualche regola? si commette un qualche reato? si offende qualcuno? No. E allora si lasci la libertà di aprire un computer, di usare la tastiera senza sapere cosa scrivere, senza avere un obiettivo da raggiungere, senza pensare a un lettore che debba approvare o disapprovare.
Squilla il telefono, devo rispondere. Ma perché devo rispondere? Non voglio rispondere, non m’interessa sapere cosa c’è dietro il filo, non voglio sapere niente. Ci sono attimi in cui si vuole stare soli, davvero soli, essere se stessi. A dire il vero in questo momento, vorrei essere assente addirittura a me stesso.
Non mi piace essere dove sono, mentre dal vetro della finestra il cielo piange e la pioggia percuote i tetti, le gocce vanno in frantumi. Non vedo pedoni, solo qualche macchina con fari accesi che scivola sull’asfalto logorato. Vorrei trovarmi sulla spiaggia. Lì non ci sarà nessuno. La pioggia che batte forte scontrandosi con le onde agitate m’incanta. È come se il mare cercasse con l’aiuto delle onde di difendersi dal temporale. E, poi, penso alla solitudine del mare. Di questo mare amato, sognato, abbracciato durante l’estate e, ora, lasciato lì, solo e abbandonato. Nel momento della bufera è solo. Ma qualcuno glielo ha chiesto qualche volta se vuole compagnia? Per fortuna ci sono i pescatori che lo guardano in faccia sempre, in ogni stagione, che lo amano e lo temono. Nella buona e nella cattiva sorte. E ci sono i gabbiani che lo scrutano, lo studiano, lo sorvolano. Sono certo che gabbiani e mare si parlino. Non ho le prove di ciò. Però ne sono convinto. Posso esserne convinto? Lo sono. Tu no? Pazienza.
Bussano alla porta. Devo andare. È davvero impossibile restare fuori dal mondo.
Me ne andrò all’aria aperta, senza ombrello, ora che la pioggia è ancora più muscolosa. Mi invita ad andarle incontro. Resterò sotto l’acquazzone. Forse riuscirò a sentirmi davvero libero e, soprattutto, senza pensieri. La pioggia riuscirà a rigenerarmi come fa con le radici inaridite, con gli alberi affaticati e senza foglie?
Forse il cielo non piange, suona il pianoforte della vita. E bisogna fermarsi ad ascoltarlo.
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