Il gran concerto della quercia
Dove c’era l’ombra ora c’è la quercia caduta, tagliata. L’albero non deve più combattere contro le bufere. La gente guardandola si accorge della sua grandezza. Dai vari rami pendono i tanti nidi e la gente osservando si accorge che era molto buona. Ognuna lodandola, taglia della legna e se la porta a casa. Anche ora che è a terra, continua a essere generosa. Solo una capinera si aggira nell’aria. Piange perché non troverà più il suo rifugio.
Vi ricordate? È il contenuto della poesia di Giovanni Pascoli “La quercia caduta”. Quando a scuola studiavo questa poesia, la mia casa era fra tre maestose querce. Due a neanche cinquanta metri, l’altra un po’ più distante. Una di queste, la più grande di tutte, era altissima, fortissima, un ciclope muscoloso che non aveva paura di temporali, fulmini, tuoni, venti. Per abbracciarne il tronco erano indispensabili le braccia di più bambini. L’ombra erano davvero larga. La quercia con i suoi rami nodosi, aggrovigliati, e il fogliame ricchissimo, era un ombrellone gigante a difenderci dal sole. Nell’ampio spazio d’ombra piccoli arbusti, che spesso maltrattavamo noi bambini e ragazzi e dell’erbetta, che calpestavamo senza pietà. Essendo quella più vicina a casa era la quercia che più frequentavamo. Nel cono d’ombra si giocava al pallone, si faceva merenda, si eseguivano i compiti, si giocava con il cane, e così via.
L’altra quercia era dietro casa; non ci andavamo spesso perché era circondata da un campo di grano. Era all’ombra di questo colosso che si rifocillavano i mietitori al tempo della trebbiatura. Quando tutto era finito, il grande campo era tutto nostro per raccogliere le spighe rimaste tra le stoppie.
La terza quercia se ne stava un po’ in disparte, era lungo un ruscello. La presenza continua dell’acqua contribuiva a tenere sempre vivo un vero boschetto con pozzanghere tra un canneto e l’altro, e qui dominava il gre gre di ranelle. La paura di altri animali ci teneva lontano, la melodia dei fringuelli ci affascinava.
Quello che univa le tre querce, tra l’altro, era l’abbondanza di nidi tra i rami. Centinaia di volatili trovavano rifugio tra di essi. Era un andirivieni di passeri e altri uccelli impegnati a fare nidi o a portare del cibo o, semplicemente, come punto di riposo. Un vero condominio di uccelli vari, ma che dico? un paese, una città di ugole d’oro. Altro che festival di San Remo! Infatti, dentro quelle chiome ampie e frondose, si animava la più grande orchestra che abbia ascoltato. Suoni, canti, note, gorgheggi, versi, cinguettii, trilli, fischi, una fantasmagoria musicale inesprimibile. Concerti senza eguali. Note musicali armoniose scritte su uno spartito invisibile.
Un ragazzo, questo pomeriggio, mi ha portato una pagina di una vecchia antologia con la poesia di Pascoli; me ne ha chiesto un commento. Mi ha subito detto che sapeva cosa era una quercia, ma non l’aveva mai vista “da vicino”. Ho portato Flavio in una località, dove ancora c’è una quercia, ne ha potuto ammirare la dimensione, anche se non è, in verità, eccessiva. Siamo andati, poi, dove c’erano le tre querce. Ora non ci sono più da molto tempo. Sono state abbattute per costruirvi palazzi. La loro presenza non era incompatibile con i fabbricati, ma l’eliminazione è avvenuta lo stesso. Ho raccontato al ragazzo la mia esperienza di bambino abitante del sottobosco delle querce più che della casa. Mi ha chiesto, giustamente, perché lo avevo portato in un posto dove gli alberi non c’erano più. E ho risposto che è lì che continuo ancora oggi a vedere uccelli di mille colori e ad ascoltare la meravigliosa orchestra di note con sfumature infinite. Flavio, molto intelligentemente e un po’ stupito, mi ha fatto notare che lui non sentiva niente.
Questa è la differenza tra me e te. Io mi porto nel cuore e nella testa un canto, una melodia, una poesia che tu non conosci. Spero che tu possa godere presto del privilegio di questo incanto e impedire che l’uomo cancelli quello che non potrà mai restituire.
Nessun commento:
Posta un commento