martedì 1 marzo 2011

Maltempo e pazienti


Maltempo e pazienti


Piove. Piove da oltre ventiquattro ore. Il terreno è impregnato di acqua, gli alberi fanno la doccia, le radici si ubriacano. Le strade sono fiumi in piena: piove da molte ore, è vero, ma che tutte le arterie diventino intransitabili è assurdo. Dalle collinette laterali alle strade cadono sassi, il fango rischia di mandare le auto fuori orbita. “Una volta lungo le strade si costruivano le cunette - ripete continuamente zio Raffaele ogni volta che piove - ora non più. La moderna scienza della speculazione ha detto che non servono.”
   
Il cielo è plumbeo, la foschia e la pioggia mi accompagnano lungo un viaggio di centocinquanta chilometri. Avrei fatto volentieri a meno di avventurarmi in macchina con questo tempaccio. Ho un appuntamento medico fissato da molto tempo; non posso permettermi il lusso di annullarlo. La sanità, si sa, è alluvionata un po’ ovunque, ma in alcune parti del bel Paese è un nubifragio. Il cittadino è a pezzi, esausto, non riesce a trovare il bandolo della matassa, tra uffici vari, ticket, prenotazioni e attese lunghe intere stagioni. Per l’incontro di oggi, la solita trafila: ricetta del medico curante, contatto con lo specialista per fissare la data, un viaggio per pagare il ticket in un ufficio diverso dall’ambulatorio, attesa e, finalmente, la visita oggi, sotto un cielo che diluvia alla grande. Arrivo trafelato, parcheggio non vi dico come, inzuppato d’acqua dalla testa ai piedi. Sono in sala d’attesa. Consegno la documentazione alla gentilissima signora che è in accettazione; è tutto a posto (per fortuna!), non resta che attendere il mio turno. 

Uno sguardo al giornale dopo aver tentato di darmi un po’ di contegno: mando via un po’ d’acqua dai pantaloni, mi asciugo il viso bagnato, una messa in ordine – si fa per dire - ai capelli, una ripulita agli occhiali, che avrebbero bisogno del tergicristallo. Le sedie non mancano, vi sono delle persone in attesa, altri ne vengono. Tutte annaffiate che non vi dico. Tento di aprire il giornale, ma è il mormorio dei pazienti che mi tiene compagnia.  

Il bunga-bunga: ancora! Non se ne può più. La scuola pubblica non educa: e allora perché la teniamo aperta? chiudiamola. Tutti a casa, docenti, studenti e chi può vada in qualche scuola privata. Questa è la democrazia, o no? È morto un altro soldato in Afganistan e il capo del governo si chiede se ne vale la pena stare lì: e se non lo sa lui, posso saperlo io? Ancora sulle centinaia di migliaia di euro pagati a presentatori, vallette, comici, ospiti, e via discorrendo al festival di San Remo. Cifre da capogiro: qui, tra i pazienti in attesa, si parla degli euro pagati per il ticket, per le pensioni che si percepiscono. Ci si sente dei morti di fame!

Veniamo interrotti da un signore che cola acqua da tutte le parti, pochi capelli bianchi, grassottello, anziano. È sbucato da un passaggio interno. Quando entra nella sala d’attesa, ci osserva stupito, guardando una porta dice: “Lì c’è il medico?” “No, è la porta d’entrata”. “Allora io da dove sono venuto?” “Questo non lo so - dico - da qualche altra parte”. Mi mostra una ricetta rossa, sgualcita: “Devo fare vedere questa ricetta”. “Lì, in quell’angolo c’è l’accettazione, fra poco verrà qualcuno”. E lui insiste: “Non me la può vedere lei?” “No, io sono un paziente, fra poco verrà l’addetto”. Si gira, si rigira, si rivolge a un altro signore in attesa: “Devo fare vedere la ricetta”. Stessa risposta: “Sono un cliente, io non posso fare niente, fra poco verrà l’infermiere”. E l’anzianotto, quasi irretito: “Lei è un cliente, quell’altro è un paziente, io devo fare vedere la ricetta”.

Intanto squilla un telefono, arriva una signora in camice bianco, risponde, poi chiede se qualcuno ha bisogno di lei. L’addetta vede la ricetta del signore e gli dice che ha sbagliato luogo, gli fornisce il nuovo indirizzo. Munito di santa pazienza, il nuovo paziente o cliente che dir si voglia, stringe con forza l’ombrello, che nel frattempo ha gocciolato abbondantemente sul pavimento della sala, ed esce.

Guardo l’orologio: l’ora dell’appuntamento è slittata, lo specialista c’è e sta visitando. Bisogna attendere.  Intanto l’acqua viene giù forte. Una signora comunica a tutti che non riesce più a prendere sonno da quando ha saputo che le due “gemelline” non si trovano, “è sicuro sono state uccise dal padre, che si è suicidato.” L’argomento tocca la sensibilità dei presenti: si parla di Yara, di Sara… 

Si apre una porta, che pensavamo fosse quella del bagno, e appare una sagoma imbevuta d’acqua a sazietà: è lo stesso signore di prima, ancora con la ricetta in mano. Ci guarda stranito, poi ci porge la ricetta: “Devo fare vedere questa ricetta…”

Ci guardiamo tutti negli occhi, non sappiamo che fare. Come dire a quel pover’uomo che dopo quintali d’acqua si ritrova nello stesso posto sbagliato?

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