martedì 20 dicembre 2011

In paradiso





In paradiso
di Giovanni Pistoia

  


Sulle case sparse del piccolo paese nevica. Fiocchi leggeri e lenti si adagiano, con infinita delicatezza, sui rami degli alberi, sui comignoli, sui tetti aguzzi, sui vicoli che, come serpenti, si introducono, quasi furtivamente, tra muri di calce e pietre. Le case sono in gran parte disabitate; se ne sono andati in tanti. È un paese di vecchi. Durante l’inverno il camino è il luogo prediletto. Il nido che accoglie. Il camino racconta le sue storie, i vecchi ascoltano e rispondono. Chi osserva da lontano non sente nulla. Al silenzio del camino fa eco il silenzio dell’anziano, che guarda, come ipnotizzato, la fiamma.

Le voci del camino somigliano tanto a quelle dei vecchi. Sono voci, suoni; sono silenzi. Il silenzio dei vecchi è fatto di parole sagge, di attese, di esperienze lunghe. Per tutto ciò, forse, è un silenzio che, in tanti, non riusciamo ad ascoltare; ci pare muto. Come muto sembra il guscio del camino che, invece, parla, e cerca un dialogo. È uno dei pochi posti, il camino, dove la parola non ha più parole, e si esprime con la voce di perla del silenzio, con il pulsare della fiamma, il lento e accorto utilizzo delle prolunghe delle proprie mani: la paletta, la molla per smuovere le braci, la scopetta, l’attizzatoio per muovere ciocchi, perché resistano ancora all’inevitabile cenere.

Il camino sopravvive, il più delle volte, nelle case delle città, come status, dove la parola è priva, spesso, di messaggi, spenta, come un tizzone quasi polvere. Il vecchio, sempre di più, non trova posto neanche come soprammobile ma, da buon vecchio arnese in disuso, da custodire in pensionati raramente d’oro. Ma anche l’oro, qui, ha il sapore del piombo.

Quando l’ultimo vecchio se ne andrà, anche l’ultimo fuoco si arrenderà. La morte di un paese è un capitolo di storia che si chiude. Non solo le mura saranno preda di erbe selvatiche ma la memoria stessa cadrà a pezzi. Pagine di storia, cultura, tradizioni; diari di vite: tutto andrà, con ogni buona probabilità, perduto. Resteranno, per chi saprà ascoltare e vedere, gli echi del bosco, i sudori delle pietre, i fiori che continueranno, chi sa perché, a morire e nascere tra le ferite dei muri.

Il campanile della bella e antica chiesa è inclinato su stesso, la campana da un bel po’ è stata tolta, poteva cadere da un momento all’altro. L’edificio scolastico delle elementari è chiuso. In verità è aperto solo in parte. I pochi bambini sono tutti in un’aula, una pluriclasse, dicono, come si usava tantissimi anni fa. Ma è questione di poco, poi anche quest’angolo chiuderà; si consegnerà alla ragnatela. C’era, in fondo al paese, un ambulatorio medico: chiuso. Il paese è una pancia vuota, le colline e le montagne abbandonate. Tutti partiti. Tutti tra i palazzi delle grandi città italiane e europee. Qualcuno anche oltre l’oceano, già da tanto tempo. La lunga fuga sta per giungere al suo epilogo.

Nei centri urbani l’assillo della casa, l’impossibilità di trovarne qualcuna con un fitto decente: qui, in questo piccolo paese, le case sono vuote. L’una accanto all’altra, si tengono per mano, si fanno compagnia: sembrano tanti vecchietti che, in fila, siedono su una panchina lungo un viale colorato di tramonto. Hanno di fronte la montagna, un bosco ricco e coloratissimo, un’aria leggera e profumata che spalanca i polmoni. Una quiete che sa di vita. «Qui state come in paradiso» dicono, d’estate, coloro che vi passano; poi, non vedono l’ora di ripartire.

Il tratto che porta alla cittadina più vicina è una pista chiamata strada. Asfalto divelto, buche, zero segnaletica, zero barriere di protezione. È su questo percorso, poco distante dal paese, che è ubicato il cimitero. È qui che gli abitanti hanno piantato il loro albero di natale. Hanno, in effetti, addobbato un abete, davvero molto bello, elegante, che è posto appena dopo il cancello d’entrata. Lo hanno fatto qui, perché è qui che si è trasferita, con gli anni, la comunità. È in questi stretti viali, ben puliti, che è possibile osservare i volti del paese. Qui vengono a riposare tutti i suoi cittadini; anche quelli che sono stati via per decenni, alcuni da sempre. Sono nati tra queste colline, e qui vengono a morire, oppure a esservi semplicemente seppelliti. Nelle case c’è poca gente, il paese vero è nel cimitero.

Nella piazzetta del piccolo centro, accanto alla chiesa crocifissa, sotto un cornicione di un vecchio palazzo gentilizio, un presepe. Nella stalla il Bambino non c’è. Lo metteranno al momento opportuno, quando nascerà.

Improvvisamente dei bambini festosi sbucano da una viuzza imbiancata. Si rincorrono tra la neve, che comincia a farsi tappeto. Sono i figli di alcuni immigrati che provengono da luoghi lontani; sono i bambini e gli adolescenti di uno sbarco, uno dei tanti. Uomini e donne e bambini scappati dalla fame, dalla guerra, dalle violenze inaudite; sono i sopravvissuti alle carrette e alle insidie del mare: sono vivi! Abitano qui, tra queste case abbandonate, ma che proteggono dalle intemperie, su questa terra dove i semi, se piantati, germogliano, e la vegetazione, anche se tradita, continua a fiorire. Tra questi alberi giganti, fantastici e sognanti; guardiani delle stelle; misteriose creature che con le loro lunghe mani dipingono d’azzurro il cielo e abbracciano e baciano forte la terra, come chi ha visto nel mare la morte. Sono qui, in paradiso.


In paradiso
di Giovanni Pistoia
dicembre 2011

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