mercoledì 25 aprile 2012

Dante Maffia di Daniela Fabrizi




A cura di 100news
[ 16 aprile 2012 ]Pubblicato in: Letture, Saggi


Dante Maffia
di Daniela Fabrizi


Sensibile alla rugiada. L’anima in primo piano sull’altare dei sensi: il verso di Dante Maffia va in circolo in pochi secondi, raggiunge l’aorta e pulsa a dismisura.

Intimista, colloquiale, usa il punto interrogativo e l’interpunzione come segni del cuore, pone domande che hanno già una risposta di cui il poeta non ha paura. Ricorre lo stupore, il turchino, le lune che proteggono le fragilità interiori. Ma il poeta dell’anima si scopre quando taglia a metà i sentimenti, seziona gli anfratti e conclude narrazioni del corpo con raccolte di versi aperte, fuggevoli, tormentate e preziose.



Dante Maffia inganna la memoria con primavere immanenti avvertite a gennaio, con il viaggio nel corpo che non è mai peccato. Soffio di misura e temerario, ama l’amore come realtà voluta o immaginata, come ribellione alla pianezza e all’uniformità del possibile vissuto. Il pensiero lo governa ma non lo piega, è il sentimento che ascolta con disinteresse e trasgredisce; ma non c’è furia, non c’è platea né palestra di streghe, la forbice s’attarda sull’incancellabile momento del cuore e lo staglia, a tondo vivo, davanti a mobili strutture, passaggi di lingua per l’attore. “Somigliare a niente” è l’imperativo delle braccia del pensiero, somigliare agli altri è il messaggio del poeta vero.

L’anima, vestita, strappata, rabbiosa, scarlatta e azzurrata, compone e sgrammatica dedali di parole, urge di interrogativi, traveste l’animale di sogno e di parole-chiave, nella dimensione astratta di ricorrenti paure che sono solo proiezioni e sdoppiamenti di pensieri nell’uomo che ha significazione e che accompagna la sua vita perché la sa piena di vissuta emozione, di labirinti e di sorpresa. Dante Maffia possiede e controlla l’immediatezza del verso, il coltello della ragione detta una poesia sposata all’immaginazione, apre sipari, squarcia scenari, entra nel vivo senza massimi sistemi.
Il lettore è un cercatore di spazi e di silenzi nella sua poesia di dialoghi spezzati, di passaggi di scena, di chiuse che asciugano la gola.

Le ragioni della malinconia sono d’ogni uomo, ma Dante Maffia ne fa stendardo per mettere la vita a fuoco, per sviscerare sentimenti e frammentazioni nuove, ombre e figure accese, attimi viaggianti che inseguono logiche errabonde e sfidano l’eterno. Struggente, crudo, fors’anche crudele in qualche anacoluto, il poeta indossa l’identità di chi si espone, non di chi sente e parallelamente scrive, ma di chi scrive sentendo, amando, inseguendo speranze indicibili e luci corrucciate.

Il discorso si esalta nel sé narrabile e nel lessico che ne raddoppia il valore, nella sintassi diretta e significativa, nel desiderio portato in braccio dall’affabulazione prima. E’ una sfida a chi vive di rimpianto, di taciuto, di impossibilità di essere prima ancora di apparire, è il vissuto che primeggia sul trasfigurato, è l’effetto del sogno che smette di essere esiliato.

Dante Maffia non si può leggere per caso, è l’anima che lo richiede. Richiede acqua per la sua sete, sangue per la sua emorragia. E il sangue viene, rosso come il cuore, sovrapposto a quello venoso, blu come il pensare. Ed è ancoraggio e trasfusione, innesto e donazione, se ne esce trapiantati. Di espressività mentali non convenzionali, di illuminazione contro il nulla che sottolinea l’esistenza. Forte, audace, maestro della parola come espressività pura, Maffia punta dritto al cuore con la sua spada di poeta e inventa la risposta all’utopia, il crepuscolo e la sua stessa meta. Bisognerebbe essere dei pazzi per non soffermarsi sulle sue note, per non riconoscere quello che siamo e funzionalmente reprimiamo, per non sentire il suicidio interiore che ci divora quando sentiamo che quel che dice è vero, è funzionale, che forse solo così la vita andrebbe vissuta, che per un attimo abbiamo dato forza alle nostre dita e abbiamo sfogliato l’anima con un codice segreto.

Maffia approda al silenzio quando la volontà pretende il tormento, quando si rischierebbe di andare all’inferno per aver pensato, per aver ceduto alle regole del gioco. Ma dopo questi versi, questa grammatica della complessità interiore, il silenzio parla esclusivamente l’unica lingua che potrebbe parlare: quella dell’amore. Stendardi e bandiere sventolano sul cuore memori di una patria clandestina che sacrifica giovani vite alla sua difesa, slanci e creature della parola pura sottesa ad ogni impercettibile emozione. Questo è il precetto, la nave sicura, e nella stiva i sogni di un impavido guerriero.

Scelta antologica

L’ETERNITA’ HA PERDUTO


Per noi sognavo la grotta celeste
con leoni schiavi pronti ai nostri comandi.
E sognavo la sconfitta della vecchiaia e della morte,
non questa deriva ovattata
in cui fanno ressa profumi lontani
e ciclamini sfatti.
E’ colpa del tuo silenzio?
L’eternità ha perduto le penne,
s’è infilata nelle calze di lana
e nel latte caldo. Tutto pensavo, tranne
che fossimo ospiti provvisori del sorriso.


VOLGI LO SGUARDO


Nessuno poté fermare
il sibilo che ruppe i timpani
ai gelsomini notturni
e li colmò d’inerzia.
Le cose vanno
come vanno: le maree
non rinunciano al monotono scambio
delle loro vene.
Poiché ci sono adesso, e chissà
se poi altre nuvole alzeranno il capo
smarrite nel crepuscolo dell’alba.
Ascolta la rugiada farsi gelo,
apri il cancello,
volgi lo sguardo al cielo.


FIORITURE ANALFABETE


La tua assenza rende le foglie
fioriture analfabete
dolore che deborda e singhiozza.
Forse ha ragione il poeta, si può raccogliere
soltanto ciò che è incompiuto,
il compiuto non esiste più.

E’ L’ALBA


È l’alba. Mi attraversa
un brivido di cielo.
Il sogno fugge. L’orizzonte
sorge nelle tue mani.
Come potranno dire le parole
la lenta agonia che nasce in me
quando t’allontani? È l’alba, il vento
ha la bocca piena di canarini morti.

I BRIVIDI DELLA CITTÀ 


Hai ragione: dopo
avranno la parola i faggi,
i lupi, i papaveri.
E saranno canzoni i brividi
della città rumorosa.

A cura di 100news
[ 16 aprile 2012 ]Pubblicato in: Letture, Saggi


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