mercoledì 30 maggio 2012

Dialogo con il terremoto di Dante Maffia


“Dialogo con il terremoto” è una poesia di Dante Maffia, pubblicata nella raccolta “Sbarco clandestino” nella sezione “L’Aquila”. È un drammatico dialogo tra una bambina e il terremoto, che sconvolge prepotentemente la sua vita. Un colloquio drammatico e tenero nello stesso tempo e se letto sullo sfondo delle nuove macerie che hanno tolto respiro e abbattuti sogni ha il sapore amaro che solo la vita sa distribuire con il suo carico di dolori e di mistero.

Dialogo con il terremoto
di Dante Maffia




Terremoto:
Se i poeti pensassero un attimo
alla mia natura e alla mia sorte
con me non sarebbero così duri,
così determinati ad accusarmi.

Io sono cieco da sempre, così cieco
ché che mi è impossibile trovare
perfino la mia bocca o il mio naso.
E quando mi rivolto nel mio letto

non so dove scompiglio, dove mando
all’aria castelli o monumenti, dove
spingo piramidi o muraglie.
Per me ogni cosa solida è buio pesto.

Bambina (appena sveglia):
Buongiorno mondo, che vi prende, strade?
Ferme, vi prego, ferme, il mio latte
si verserà se voi non vi calmate.
La tazza oscilla, mamma, che succede?

Terremoto:
Sono io, bambina, non chiamare mamma;
sono io che sento la tua voce,
ma non posso vederti, io, il terremoto;
dicono che ho l’aspetto d’una larva

mostruosa, d’animale sciancato
con ali gigantesche e con narici come caverne,
con piedi alti come montagne, con denti
più lungi e voraci di quelli di mille leoni.

Bambina:
Vuoi farmi paura? Dove sei, chi sei? Perché
hai questa voce rauca, questo strascico di morte?
Mamma, vieni, c’è un mostro e mi minaccia,
scaccialo, presto, mandalo via.

Non voglio che mi rubi la mia bambola,
non voglio che si beva il mio latte
o si prenda il mio libro di lettura.
Mamma, ti prego, rispondi, mamma bella.

Terremoto:
Forse tua madre non può risponderti,
forse il mio muovermi maldestro l’ha buttata
tra le macerie e ormai non può parlare.
Se tu potessi accarezzarmi forse potrei diventare

altro da quel che sono. Una volta ho sentito
dire che un rospo diventò un principe
dopo il bacio d’una fanciulla. Può darsi che anche io
possa trasformarmi in creatura umana.

Bambina:
Mamma, mamma, vieni, rispondimi, ho paura.
Questo mi dice che non puoi parlare? Perché?
Che t’hanno fatto? Mamma, vieni, la tazza m’è caduta,
il latte s’è versato, trema tutto intorno.

Terremoto:
Bambina, mi piace la tua voce, ma io non posso
salvarti da nulla. Io sono tutto ciò ch’è detto morte,
sono l’assenza, il niente che rinnova
l’antico e senza una ragione. Sono il male, dicono,

il dissesto e il vuoto che sragiona senza badare
- e come potrei senz’occhi e senza sentimenti -
alla vita. Sono il passo ostinato che distrugge
la bellezza e ne fa tenebra.

Bambina:
Va via, ti prego, vattene, ti prego.
Non toccare la mia bambola, e ridammi
subito la mia mamma. Dove l’hai portata?
Sei forse un ladro? Ti do il salvadanaio,

ma non rubare altro, e portami subito
dalla mia mamma. Sai? Sta molto male,
da mesi non riesce a respirare
per via del cuore, l’hanno operata.

Terremoto:
Oh, bambina, bambina. Non conosci la mia natura,
io ho solo frenetici sussulti e, al posto dell’anima,
una furia di nero che s’attorce con altro nero
e genera dolore. La demenza è la mia cifra migliore.

Come dirti? Sono l’esecutore che non può disobbedire
ai comandi supremi dell’orrore. No, non il diavolo,
ma qualcosa di più turpe, di più disumano.
Sai cos’è una piazza? Io no, ma so che devo

renderla insensata e tragicamente inutile. So che
devo annerire ogni cosa, e disgregarla. Il fine?
Il mio compito finisce lì. Il fine lo conosce
chi governa il mondo. Io sono inerzia che s’adira

un giorno e piomba come un falco affamato
sull’universo. Sono carogna che non comprende
se non una parvenza di mistero. Tu, bambina,
forse vedrai il cielo rovinare sulla tua città, vedrai

le stelle camminare per i dirupi, le chiese aprirsi
per mostrare i loro segreti. Io non so, suppongo,
e vado avanti per la mia strada senza sbocchi,
nella lucida insonnia del non essere

se non piaga che germina furore e dolore,
strascichi di putredini e di gridi disperati.
Il mio compito è chiuso negli accordi
di parole rotte trascurate dai poeti.

Bambina:
Tu non sei cattivo. Perché non ti fai vedere? Cercheremo
insieme la mamma, non può essere lontana.
Se mi dai la mano potremo andare insieme
verso la mia cameretta ch’è piena di coriandoli.

Terremoto:
Che cos’è questo frullare d’ali che mi solletica?
La tua voce è una piuma di cristallo che mi smarrisce.
Potessi avere le braccia e sfiorarti, potessi avere senso
e dirti le ragioni del mio agire.

Ahimè, tu forse ancora non sai che io sono
solo e soltanto dissenso, negazione e abisso.
Sono fuoco terribile e gelo infinito, vento senza ritegno,
urla che spaccano la crosta del mondo.

Sono maledizione e cancrena, sfacelo e povertà,
dilaniato fulgore del dolore, morte e morte che infligge
inferni, ortica che cresce nelle sfere celesti
e invade ogni cosa. Fuggi, non aspettare altro boato

che presto arriverà, non voltarti indietro. Fra poco dovrò
tornare a sconvolgere quelle che gli umani
chiamano strade palazzi castelli. Corri, bambina, dove ti pare,
in uno spazio aperto. Altro non posso dirti:

la mia anima è fango e fiele, abbagliante diluvio
che vive di gorghi e ingorghi, delle chimere del male eterno,
e la mia voce è un attimo di sosta. Corri, va via. Ecco,
di nuovo sono preda del nonsenso, del baratro, dello strazio.

Dialogo con il terremoto
in:
Dante Maffia
Sbarco clandestino
Tracce 2011




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