“Dialogo
con il terremoto” è
una poesia di Dante Maffia, pubblicata nella raccolta “Sbarco clandestino”
nella sezione “L’Aquila”. È un drammatico dialogo tra una bambina e il
terremoto, che sconvolge prepotentemente la sua vita. Un colloquio drammatico e
tenero nello stesso tempo e se letto sullo sfondo delle nuove macerie che hanno
tolto respiro e abbattuti sogni ha il sapore amaro che solo la vita sa
distribuire con il suo carico di dolori e di mistero.
Dialogo con il
terremoto
di
Dante Maffia
Terremoto:
Se
i poeti pensassero un attimo
alla
mia natura e alla mia sorte
con
me non sarebbero così duri,
così
determinati ad accusarmi.
Io
sono cieco da sempre, così cieco
ché
che mi è impossibile trovare
perfino
la mia bocca o il mio naso.
E
quando mi rivolto nel mio letto
non
so dove scompiglio, dove mando
all’aria
castelli o monumenti, dove
spingo
piramidi o muraglie.
Per
me ogni cosa solida è buio pesto.
Bambina (appena
sveglia):
Buongiorno
mondo, che vi prende, strade?
Ferme,
vi prego, ferme, il mio latte
si
verserà se voi non vi calmate.
La
tazza oscilla, mamma, che succede?
Terremoto:
Sono
io, bambina, non chiamare mamma;
sono
io che sento la tua voce,
ma
non posso vederti, io, il terremoto;
dicono
che ho l’aspetto d’una larva
mostruosa,
d’animale sciancato
con
ali gigantesche e con narici come caverne,
con
piedi alti come montagne, con denti
più
lungi e voraci di quelli di mille leoni.
Bambina:
Vuoi
farmi paura? Dove sei, chi sei? Perché
hai
questa voce rauca, questo strascico di morte?
Mamma,
vieni, c’è un mostro e mi minaccia,
scaccialo,
presto, mandalo via.
Non
voglio che mi rubi la mia bambola,
non
voglio che si beva il mio latte
o
si prenda il mio libro di lettura.
Mamma,
ti prego, rispondi, mamma bella.
Terremoto:
Forse
tua madre non può risponderti,
forse
il mio muovermi maldestro l’ha buttata
tra
le macerie e ormai non può parlare.
Se
tu potessi accarezzarmi forse potrei diventare
altro
da quel che sono. Una volta ho sentito
dire
che un rospo diventò un principe
dopo
il bacio d’una fanciulla. Può darsi che anche io
possa
trasformarmi in creatura umana.
Bambina:
Mamma,
mamma, vieni, rispondimi, ho paura.
Questo
mi dice che non puoi parlare? Perché?
Che
t’hanno fatto? Mamma, vieni, la tazza m’è caduta,
il
latte s’è versato, trema tutto intorno.
Terremoto:
Bambina,
mi piace la tua voce, ma io non posso
salvarti
da nulla. Io sono tutto ciò ch’è detto morte,
sono
l’assenza, il niente che rinnova
l’antico
e senza una ragione. Sono il male, dicono,
il
dissesto e il vuoto che sragiona senza badare
-
e come potrei senz’occhi e senza sentimenti -
alla
vita. Sono il passo ostinato che distrugge
la
bellezza e ne fa tenebra.
Bambina:
Va
via, ti prego, vattene, ti prego.
Non
toccare la mia bambola, e ridammi
subito
la mia mamma. Dove l’hai portata?
Sei
forse un ladro? Ti do il salvadanaio,
ma
non rubare altro, e portami subito
dalla
mia mamma. Sai? Sta molto male,
da
mesi non riesce a respirare
per
via del cuore, l’hanno operata.
Terremoto:
Oh,
bambina, bambina. Non conosci la mia natura,
io
ho solo frenetici sussulti e, al posto dell’anima,
una
furia di nero che s’attorce con altro nero
e
genera dolore. La demenza è la mia cifra migliore.
Come
dirti? Sono l’esecutore che non può disobbedire
ai
comandi supremi dell’orrore. No, non il diavolo,
ma
qualcosa di più turpe, di più disumano.
Sai
cos’è una piazza? Io no, ma so che devo
renderla
insensata e tragicamente inutile. So che
devo
annerire ogni cosa, e disgregarla. Il fine?
Il
mio compito finisce lì. Il fine lo conosce
chi
governa il mondo. Io sono inerzia che s’adira
un
giorno e piomba come un falco affamato
sull’universo.
Sono carogna che non comprende
se
non una parvenza di mistero. Tu, bambina,
forse
vedrai il cielo rovinare sulla tua città, vedrai
le
stelle camminare per i dirupi, le chiese aprirsi
per
mostrare i loro segreti. Io non so, suppongo,
e
vado avanti per la mia strada senza sbocchi,
nella
lucida insonnia del non essere
se
non piaga che germina furore e dolore,
strascichi
di putredini e di gridi disperati.
Il
mio compito è chiuso negli accordi
di
parole rotte trascurate dai poeti.
Bambina:
Tu
non sei cattivo. Perché non ti fai vedere? Cercheremo
insieme
la mamma, non può essere lontana.
Se
mi dai la mano potremo andare insieme
verso
la mia cameretta ch’è piena di coriandoli.
Terremoto:
Che
cos’è questo frullare d’ali che mi solletica?
La
tua voce è una piuma di cristallo che mi smarrisce.
Potessi
avere le braccia e sfiorarti, potessi avere senso
e
dirti le ragioni del mio agire.
Ahimè,
tu forse ancora non sai che io sono
solo
e soltanto dissenso, negazione e abisso.
Sono
fuoco terribile e gelo infinito, vento senza ritegno,
urla
che spaccano la crosta del mondo.
Sono
maledizione e cancrena, sfacelo e povertà,
dilaniato
fulgore del dolore, morte e morte che infligge
inferni,
ortica che cresce nelle sfere celesti
e
invade ogni cosa. Fuggi, non aspettare altro boato
che
presto arriverà, non voltarti indietro. Fra poco dovrò
tornare
a sconvolgere quelle che gli umani
chiamano
strade palazzi castelli. Corri, bambina, dove ti pare,
in
uno spazio aperto. Altro non posso dirti:
la
mia anima è fango e fiele, abbagliante diluvio
che
vive di gorghi e ingorghi, delle chimere del male eterno,
e
la mia voce è un attimo di sosta. Corri, va via. Ecco,
di
nuovo sono preda del nonsenso, del baratro, dello strazio.
Dialogo con il
terremoto
in:
Dante
Maffia
Sbarco
clandestino
Tracce
2011
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