venerdì 24 febbraio 2012

La donna che parlava ai libri di Dante Maffia



La donna che parlava ai libri di Dante Maffia
di Giovanni Pistoia




«No,
il silenzio era semplicemente la dimensione del divino
che entrava nell’umano.
Non era il contrario di niente.»


«Se volgo lo sguardo al Sud – un Sud ideale e cosparso di ragnatele, di ombre, di allucinazioni, di dolori impeciati alla quotidianità, di inconsapevoli furori senza mete – vedo una finestra immensa aprirsi e mostrarmi le fonti della vita. Riascolto le voci di Talete, Demostene, Anassimandro, Anassimene, Eraclito, Gorgia, Pitagora, Archita.
Acqua, terra, fuoco, e un canto audace di zolle e di sterpaglie, una voluttà di tinte che s’azzuffano e s’incendiano per poi prendere forma di fanciullo appena nato. È forse una mano aperta, un nido, o una bara che aspetta il visto per Delfi? »

 Come mi capita con i libri che agguantano, ho letto due volte il volume di Dante Maffia “La donna che parlava ai libri” (EdiLet, Edilazio Letteraria, Roma 2010). Alcune parti anche più volte. Perché? È forse stato per me di difficile comprensione? No. È un libro godibile sin dalla prima pagina, la lettura si snocciola con grande facilità. Ciò è una virtù ma anche un grande limite: il rischio per il lettore frettoloso è di lasciarsi incantare dalla scrittura forbita, elegante, raffinata, ricercata e, di conseguenza, non gustare tutte le delizie che nascondono le pagine. L’invito, se mi è possibile avanzare un timido suggerimento, è di leggere il testo di Maffia con pacatezza, seduto serenamente su un divano o all’ombra di un albero folto, ora che arriva la primavera.
  

Non so se l’autore si sia divertito nel pensare e nello scrivere questo volume, oppure si sia lasciato accarezzare dalla nostalgia, dai ricordi della propria vita, dalle immagini di luoghi visitati, sognati, desiderati. Non so se abbia voluto allontanarsi dalla realtà, fantasticando su fatti, discorsi, colloqui, aspirazioni, oppure si sia lasciato prendere la mano dalla filosofia, dalla poesia, dalla narrazione, dalla letteratura. Non so se abbia voluto mettere, a riposo, in un angolino del proprio pensiero le tante letture fatte, i libri scritti, i numerosi volumi conservati accuratamente, e quietarsi, invece, con queste pagine, a volte spiritose, provocatorie, a volte romanzate, in una visione di eventi della vita raccontata in maniera disincantata, e prendere innocentemente in giro se stesso e il lettore.

Perché, ho queste sensazioni? Ma perché il volume di Maffia è tutto questo, e altro ancora. È autobiografia e sogno, è verità e fantasia, è riflessione matura e goliardia, è amore passione per l’arte, la poesia, la letteratura, i grandi scrittori; è ironia su tutto e su tutti. L’uomo vi appare gigante del sapere, intelligenza fine che sa scrivere cose meravigliose, sensibilità artistica infinita, ma l’uomo vi appare anche come essere vanitoso, ambizioso, ricco di difetti; un soggetto piccolo piccolo, un granellino perduto nello stupore e nel caos dell’universo.

Maffia, in effetti, sa raccogliere eventi e fatti del quotidiano e trasportarli nel regno della fantasia, e da quel regno discendere nel quotidiano. Raccoglie verità che diventano sogni, immaginazioni che diventano realtà. Il lettore si domanderà se quel determinato episodio narrato è vero, è verosimile, è invenzione pura. Non importa ricevere risposte: si tratta di Letteratura e, come tale, semplice e complessa, mistero e armonia, serte di peperoni rossi e privilegio della parola. Si tratta anche di Poesia. Pagine poetiche compaiono all’improvviso, nel mentre si racconta con ironia un episodio, oppure si caratterizza un personaggio, si descrive un evento. Emerge come d’incanto in Maffia il poeta, che sa esprimere con voli di farfalle la complessità enigmatica dell’animo umano e, in particolare, l’essere dell’uomo: mistero, pensiero, emozioni.

Il testo è un insieme di piccoli racconti, eppure le tessere di questi raccontini costituiscono un romanzo, suggestivo, ammaliante, originale. Pagine che fanno pensare, riflettere e che si coniugano argutamente con note bizzarre, curiose, simpatiche. Ecco perché mi chiedo ancora se Dante Maffia si sia divertito nello scrivere questo libro, oppure abbia sofferto un po’. Perché io vi trovo tutto in quei raccontini apparentemente semplici: il tormento dell’uomo, la pesantezza del vivere, la leggerezza dell’esistenza, la saggezza, l’ironia, la complessità, la superficialità, il sogno di grandezza e di eternità, le piccole umane aspirazioni di ognuno di noi. Ma soprattutto l’amore per i libri, la conoscenza, il sapere, l’omaggio alla parola; su tutto lo spasimo della poesia.

Nessun commento:

Posta un commento