lunedì 18 aprile 2011

Vado via con l’astronave gialla



Vado via con l’astronave gialla
 
Vado via con l’astronave. I Marziani vogliono scendere sulla Terra e divenire amici dei Terrestri ma non ne conoscono la lingua. Si sono rivolti a me, vecchio insegnante, perché possa essere utile. E così, dopo averci pensato un po’, ho deciso di dare loro una mano. Partirò questa sera. Mi porteranno via con la loro astronave gialla. Ai miei nipotini puoi dire che non starò via per molto tempo. Ritornerò sulla Terra con l’astronave degli Alieni. Con l’astronave gialla scenderò sul prato vicino alla nostra casa e correrò loro incontro e, se saranno ancora lì ad attendermi, ruzzoleremo abbracciati sul grande manto nevoso, come abbiamo fatto per così poco tempo.

Qui, caro figlio, il tempo non so più cosa sia. Su questa collina la neve ha sepolto gli alberi, gli arbusti, le strade. È la prima volta che vedo la neve su questa tranquilla collina di questo silenzioso paese. Una grande luna splende forte, la neve appare ancora più bianca. Dalla finestra della mia stanza, non vedo nessuno. Saranno tutti nelle proprie case. Qui, questa sera, non c’è allegria. Non so perché ma la neve, anziché produrre un po’ di gioia, ha rattristato gli animi dei presenti. Ognuno se ne sta chiuso nella propria stanza. Tu sai che qui c’è un grande salone dove, spesso, noi anziani, quando vogliamo stare in compagnia, veniamo a vedere qualche trasmissione televisiva, oppure a fare qualche pettegolezzo. Non c’è sera che questo stanzone non ricordi un po’ come la piazza del proprio paese. Ma che dico: a volte diventa un crocevia di tante piazze, perché ognuno qui viene da una piazza diversa. C’è sempre qualcuno che ha una sua storia da raccontare, nostalgie da comunicare, ricordi da evocare. Soprattutto ognuno ha una giustificazione da dare, e da darsi, del perché è finito in questa grande casa, su questa collina verde e profumatissima quando la primavera, quasi vergognandosi, timidamente s’affaccia da queste parti. Ma anche questa sera, penso che il parco, che circonda la villa, sia bellissimo sotto i fiocchi di neve, io ne posso vedere solo un angolo. In questo momento molti di noi sono con il naso appiattito sul vetro della finestra per intuire e catturare il sapore della neve. Eppure nessuno vuole comunicare con gli altri le proprie sensazioni. Forse, ognuno se ne vuole stare chiuso con se stesso e con i propri pensieri. A me non va di raccontare ad altri di quali odori era impregnata la neve dei nostri monti. A me non va di raccontare ad altri che tu, quando i primi fiocchi cominciavano ad abbracciare gli alberi della nostra casa, anche se piccolo e fragile, mi venivi a strappare dalla scrivania, mentre ero intento a correggere i compiti dei miei studenti, e mi costringevi a portarti fuori. E lì cominciavamo a lanciarci palle di neve fino a stancarci, a ruzzolarci ammattiti tra la neve soffice e quando, ormai sfiniti, raccoglievamo l’invocazione angosciata di tua madre che c’invitava a entrare in casa perché una bronchite non ce l’avrebbe risparmiata nessuno.

Nel nostro paese, lassù in montagna, ci sarà molta neve, ora. Lassù, in quella nostra vecchia casa, non c’è nessuno.
Forse hai fatto bene, dopo qualche tempo dalla morte di tua madre, a lasciare tutto e andare ad abitare in città. Avevi, ormai, la tua famiglia. I nipotini dovevano crescere in città e non in uno sperduto paesello. Forse, ho fatto male io a seguirti in città. Ho sbagliato a pensare che io potessi essere ancora utile a te e ai miei nipotini. Dovevo restare lassù, sulla mia montagna, da pensionato, anche se da solo non avrei conosciuto la solitudine. Perché lì era la mia vita. Dovevo prevedere che, prima o poi, non avremmo avuto più del tempo da dedicarci. Tu, ormai, avevi tanti impegni di lavoro che ti portavano in giro. Dopo i primi acciacchi, che mi hanno portato lontano dalla tua casa e che proprio qui, in questa clinica annessa a questa grande villa, ho cominciato a riprendermi un po’, forse è stato giusto che io vi rimanessi. Nella mia stanzetta ben fatta, ho cercato di ricostruire il mio ambiente: la mia scrivania, qualcuno dei miei libri che tu mi portavi ogni qual volta venivi a trovarmi, alcune cartoline con i saluti di qualche amico, l’ultima foto dei nipotini.

Ieri sera mi hanno fatto festa ed io sono stato orgoglioso di te. I miei amici ti hanno visto in televisione e sono venuti a chiamarmi. Eri seduto al centro di un grande tavolo in un salone meraviglioso, con tanti lampadari di cristallo e specchi giganteschi. Attorno a te tanta bella gente, tanti microfoni accesi. Se non sbaglio, tenevi una conferenza sul volontariato e sulla solitudine degli emarginati. Sin da ragazzo, volevi fare il medico ed io e tua madre nel mentre eravamo contenti di questa tua scelta, eravamo preoccupati di come avremmo potuto far fronte alle spese per i tuoi studi. Con un po’ di sacrifici, siamo riusciti nell’impresa. Tua madre non ebbe la fortuna, come tu sai, di vederti dottore. Ora so che tu sei un medico affermato, che sei un conferenziere richiesto. Un padre di tutto ciò non può che essere contento. Ieri sera, sono andato a letto soddisfatto, anche perché qui sono stato al centro dell’attenzione e anche il personale, a dire il vero sempre rispettoso, è stato molto affettuoso nei miei confronti.

Questa, però, è altra sera. Questa sera, ho capito che io sono andato via già da tanto tempo. Forse questa mia ti sorprenderà ma non fartene una pena. Io sono già andato via tanto tempo fa e solo questa sera, mentre i fiocchi di neve continuano a scendere su questa collina silenziosa, l’ho capito. Sono da tempo andato via dalla mia casa di montagna, da tempo ho lasciato la tua casa di città. Da tempo ho cessato di vivere, imparare, studiare, insegnare, lavorare, divertirmi, comunicare. E tu lo sai. Io qui mi sono perso, non trovo ragioni per cercarmi. Neanche i sogni mi fanno più compagnia. È tempo, ora, di prenderne atto. Quando riceverai questa lettera tutto sarà già compiuto. Portami, ti prego, sulla mia montagna.

Racconta ai miei nipotini che io sono andato via con l’astronave. Puoi dire che i Marziani vogliono scendere sulla Terra e divenire amici dei Terrestri ma non conoscendo la lingua si sono rivolti a me perché possa essere utile. E così, dopo averci pensato un po’, ho deciso di dare loro una mano. Partirò questa sera perché i Marziani viaggiano solo con la neve. Mi porteranno via con la loro astronave gialla, come quella che disegnarono, tempo fa, proprio loro, i miei nipotini. Un disegno appiccicato, forse, ancora, al muro della loro stanzetta. Puoi dire che non starò via per molto tempo. Appena i Marziani avranno imparato un po’ la lingua dei Terrestri, ritornerò sulla Terra con loro e l’astronave gialla. Con l’astronave gialla, scenderò sul prato vicino alla nostra casa quando la neve cadrà intensamente e correrò loro incontro e, se saranno ancora lì ad attendermi, ruzzoleremo abbracciati sul grande manto nevoso, come abbiamo fatto per così poco tempo.


Vado via con l’astronave gialla
di Giovanni Pistoia
disegni di Cosimo Budetta
18 aprile 2011


NOTA
Il racconto è apparso per la prima volta nella rivista “Mondiversi” (anno III, n. 1, gennaio/febbraio 2005). È pubblicato con lo stesso titolo nel volume: Giovanni Pistoia, Rovi e ali di farfalle, Fondazione Carmine De Luca/mondiversi, ottobre 2006. Ripreso da alcuni siti web: www.mondiversi.it; www.fondazionedeluca.it; http://giovannipistoia.blogspot.com È riproposto con leggere variazioni.

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