mercoledì 27 aprile 2011

L’onda e la bambina



L’onda e la bambina


L’onda picchia forte sulla ghiaia. Schiaffeggia la spiaggia, che, muta, non reagisce. Il sole è già alto nel cielo azzurro. I gabbiani si tuffano sull’onda nervosa, si rincorrono disegnando fantasiosi labirinti. La lunga spiaggia si riempie di bambini già pronti per tuffarsi nel mare. L’onda diventa sempre più alta e rabbiosa, e percuote la spiaggia con lunghe lingue di acqua schiumosa; non pochi bagnanti devono indietreggiare. Non c’è vento, l’aria è serena e i raggi del sole pizzicano sui corpi, tutti in attesa del bagno ristoratore.
   
La bambina, sotto l’ombrellone rosso fuoco, stringe il salvagente, e attende ansiosa che l’onda si plachi. Il costume da bagno e la cuffia, che nasconde i suoi capelli, hanno i colori del cielo. Ha tanta voglia di abbracciare il mare.

Il litorale è lungo e dorato, sabbioso e ghiaioso. I colori degli ombrelloni si confondono con quelli dei costumi. Annoiato il popolo degli ombrelloni, accampato in riva al mare, è in attesa che l’onda non faccia più capricci. Sullo sfondo, in lontananza, una ciminiera emana una piccola nuvola di fumo bianco. Appare stanca quella ciminiera. Non ha più voglia di lavorare. Pensierosa, si chiede del suo futuro. “Vedete - sembra dire - sono stata messa qui a produrre energia elettrica, ma attorno a me c’è sempre lite. Dicono che i miei fumi avvelenano l’aria, non è colpa mia se sono stata messa in questo posto. E poi, qui, ci sto male. Sono sola. Vedo solo mare, spiagge, verde. Non vi sono altre ciminiere a farmi compagnia, ve n’è una in fondo, è un cimelio storico di una fabbrica di tanto tempo fa. Finirò presto di fumare e diventerò anch’io un pezzo di archeologia.”

L’onda picchia forte sulla ghiaia. Rumoreggia. Con cattiveria si abbatte sulle pietre levigate, penetra agile e vendicativa sotto gli ombrelloni e tra le gambe dei bagnanti, che devono precipitosamente indietreggiare. L’onda, grintosa, sembra mostrare i denti, e tanta voglia di dire qualcosa al popolo colorato in attesa di tuffarsi nelle acque, particolarmente ora che il sole batte forte. “Ma cosa ci fate - sembra dire l’onda ribelle - da queste parti. Oggi non è una giornata per divertimenti. Andate via. Lasciatemi sola. Ma non vedete che sono diventata la vostra discarica: ogni vostro rifiuto è destinato a me. Cosa ci fanno quelle vecchie scarpe sforacchiate sulle mie spalle? e quelle buste plastificate? e quelle lunghe macchie nere, che non mi appartengono? e quelle bottiglie? e quelle scatolette? Ma via, per favore, tornatevene nelle vostre belle case e, se proprio volete, tuffatevi nelle vostre belle vasche da bagno.” E qui un’onda piccola e violenta, preceduta da un assordante brontolio, sputa sulla spiaggia ogni ben di dio: alghe verdastre, frammenti di tavole e canne, paglia ingiallita, erbe, pezzi di cocomero e tanto altro materiale, che non dovrebbe trovarsi lì. “Se dovessi restituirvi tutto, vi seppellirei per sempre.” Il popolo degli ombrelloni è costretto, ancora una volta, ad arretrare, a pulire il proprio spazio, a imprecare, e a chiedersi che cosa stia succedendo dal momento che non c’è un alito di vento.

La bambina, sotto l’ombrellone, stringe il salvagente, attende ansiosa che l’onda si plachi. Ha tanta voglia di tuffarsi. Si guarda attorno. Osserva anche con attenzione il mare. Forse intuisce la rabbia dell’onda, la spiaggia non è pulita: troppi sono i rifiuti abbandonati. Le acque non sono, di certo, azzurre, e la colpa non è del mare, né dei gabbiani che lo scrutano. Ma, nonostante tutto, la bambina ha tanta voglia di fare il bagno, di nuotare, di giocare, di correre. Vorrebbe parlare con l’onda.

Sfreccia a largo una motovedetta della Guardia costiera. Sventola la bandiera tricolore. È diretta verso il vicino porto. Chi, deluso dall’ira di quella misteriosa onda, guarda verso quell’approdo, scorge un alto pennone di una nave ormeggiata in quell’insenatura. Le lunghe banchine si aprono, come in un grande abbraccio, verso lo spazio aperto. Attendono i naviganti che percorrono quella via del mare, che rimane ancora così poco frequentata. In lontananza, una lunga catena montuosa scivola lentamente verso la riva. Il venticello della notte ha spazzato ogni piccola nuvola, ha fatto dileguare la grigia foschia.

Volteggiano solenni i gabbiani, con movimenti austeri beccano l’onda irrequieta. La bambina, rigida sotto l’ombrellone, osserva il volo degli uccelli. Con il pensiero ne sfiora le ali, accarezzandole. Fissa attenta il veloce planare di un gabbiano verso l’acqua. Cosa si diranno l’onda e il gabbiano? La bambina stringe il suo salvagente e cerca di avvicinarsi alla riva, l’onda, quasi a intuire il suo gesto, si allunga minacciosa e rapida la raggiunge e lei, un po’ divertita e un po’ infastidita, è costretta frettolosamente ad allontanarsi. L’onda ripiega, la sua bianca schiuma si sperde e abbandona la spiaggia. Sembra sfinita: è solo un trucco. Un sordo rumore, come di un tuono lontano, accompagna una nuova onda che si arrotola su stessa e si schianta in mille frantumi per essere poi risucchiata in un mare divenuto ancora più sporco. Il popolo degli ombrelloni è stanco di aspettare: si prepara a raccogliere sedie, borse, costumi variopinti, pareo, T-shirt, shorts, top, sandali, bracciali, kit abbronzanti, occhiali, cellulari e radioline, cappelli e cappellini, e lasciare la spiaggia. Oggi non è giornata. Quest’onda è proprio pazza. Meglio andare via. Lasciarla al suo destino.

La bambina non è più sotto l’ombrellone rosso fuoco inzuppato d’acqua, e non ha voglia di andare via. Vuole immergersi, nuotare nelle acque salmastre, farsi cullare dalla brezza, che le sfiora il viso rotondo, lasciarsi trasportare da onde leggermente increspate.
In un momento di tregua si avvicina lentamente verso la battigia. Sussurra qualcosa. Il mare tace. I gabbiani dall’alto controllano, vigili custodi. Una spuma leggera accarezza la sabbia. La bambina, sia pure non molto vicina a quelle acque, continua a gesticolare. Sembra dialogare con l’onda ribelle, che da qualche minuto ha cessato la protesta. Forse la piccola sta esprimendo forte il suo desiderio di abbracciare il mare, e che comprende l’irritazione dell’onda. Non è giusto, però, che siano i bambini a pagare le conseguenze delle cose che non vanno. Saranno i bambini a parlare il linguaggio delle onde, a raccoglierne i lamenti per trasmetterli agli adulti.

Adesso il mare è una tavola blu. Trasparente come non mai. I raggi del sole cercano invano qualche neo in quelle acque pulitissime. È come se l’onda avesse ingoiato tutto lo sporco esistente e coccola, serena, i piedi della bambina. Il popolo degli ombrelloni, timoroso, si lascia bagnare.
Che cosa avrà detto, in particolare, la ragazzina a quell’onda indiavolata? E come avranno fatto a capirsi? Per ora è tutto un mistero.


L’onda e la bambina
di Giovanni Pistoia
disegni di Cosimo Budetta
27 aprile 2011


NOTA
Il racconto è apparso per la prima volta nella rivista “Mondiversi” (anno III, n. 6, luglio 2005). È pubblicato con lo stesso titolo nel volume: Giovanni Pistoia, Rovi e ali di farfalle, Fondazione Carmine De Luca/mondiversi, ottobre 2006. Ripreso da alcuni siti web:
È riproposto con alcune variazioni.

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